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Jonathan Taplin: “Google, Facebook, Amazon? Una minaccia per la democrazia!”

Jonathan Taplin

Jonathan Taplin, credits: movielala.com

Una decina d’anni fa, prima che il web prendesse l’avvento su aziende, fabbriche e innovazioni, le più grandi società del mondo erano Microsoft, Exxon Mobil, Shell, General Electric e Citigroup: un produttore di programmi per computer, due compagnie petrolifere, una conglomerata attiva nella meccanica e nell’hi-tech, una banca. Una top five piuttosto classica, tradizionalista: un quadro molto «old economy» al dire degli esperti.

I 5 COLOSSI

Ma le leggi della finanza non conoscono tradizioni e, come per quelle della moda, stanno a passo coi tempi; quel quadro oggi è stato completamente stravolto e il web domina anche gli “indomabili”: in testa alla top five c’è il mostro di Steve Jobs, Apple, seguono poi Google, Microsoft, Amazon e Facebook. Quattro volti nuovi su cinque, con tre new entry (Google, Amazon e Facebook) che dieci anni fa muovevano ancora i primi passi: trio che, insieme, ha un valore di borsa di 1.550 miliardi di dollari, quasi quanto l’intero prodotto interno lordo dell’Italia, di poco superiore ai 1600 miliardi di euro. Google controlla ormai l’88% delle ricerche online, Facebook  ha il monopolio di utenti con il 77% delle presenze sui social network (considerando anche WhatsApp e Instagram ormai di proprietà della stessa azienda); Amazon gestiste il 74% del mercato mondiale degli e-book, e il 50% delle vendite via web (lasciando quel che resta a Ebay e gruppi minori come Zalando).

Cifre che destano preoccupazione e non solo nel mondo della finanza; “Abbiamo a che fare con tre giganti buoni o con dei colossi cresciuti troppo e destinati a diventare un problema per l’intera economia globale?” – questa è la domanda che si è posta il New York Times alcuni mesi fa quando, in prima pagina, ha dato la parola a Jonathan Taplin, docente alla Southern California e autore del libro «Move fast and break things» (“muoviti alla svelta e rompi l’ordine costituito”), titolo che riprende una citazione di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook.

«La Silicon-Valley? Quella vera era molto indipendente ma ora è nelle mani di Google, Amazon e Facebook. Un’enorme quantità di potere centralizzato, io lo definisco “capitalismo di controllo”. Se appena clicchi su un brano musicale, ti succhiano tutti i dati possibili e poi ti ripagano con la pubblicità . Di quello si occupano e non di media» – scrive Taplin sulle pagine del quotidiani newyorkese.

“Aprire i propri segreti ai concorrenti per rendere meno impari la competizione”
Jonathan Taplin, oggi docente della University of Southern California, ha lavorato per Bob Dylan and The Band, è andato a Hollywood negli Anni 70 e ha prodotto alcuni film di Martin Scorsese: fondò Intertainer, una piattaforma che permetteva di scaricare a richiesta i film delle maggiori case di produzione, ma nel 2002 la Sony creò una società identica e la chiamò Movielink accaparrandosi così tutti i grandi nomi. Taplin decise di avviare un’azione legale ma si mise contro le grandi case di produzione e la Sony, così non ebbe più nemmeno un film. Oggi combatte proprio per abbattere le imparità che i colossi generano nei confronti dei “più piccoli”.

PROBLEM SOLVING SECONDO TAPLIN

Le soluzioni, a suo dire, sono principalmente due: vietare ai giganti nuove acquisizioni  oppure costringerle ad aprire i propri segreti ai concorrenti per rendere meno impari la competizione. Altro scoglio, negli USA, è la normativa sui copyright digitale introdotta nel 1998: un assist per Facebook e simili perché il principio del «safe harbour» (porto sicuro) declina ogni responsabilità legale dei contenuti pubblicati sul web: proprio questa legge (che l’Unione Europea ha messo più volte in discussione con un pacchetto di norme che potrebbero essere presto approvate) consente ai colossi di trattare da una posizione di forza con i produttori di contenuti.

Una minaccia per la democrazia

«Nelle recenti elezioni Usa le “fake news” hanno avuto un ruolo determinante e non potrebbero esistere senza Facebook o Google. Peter Thiel sostiene che “la competizione è per i perdenti”. Ritiene che i monopoli giovino alla società e che l’unico modo di avere enormi profitti sia quello di non avere concorrenti. Io invece credo ancora che internet sia stata un’ottima invenzione, ma ho da ridire sul fatto che sia stato colonizzato da questi tre grandi gruppi. Non è da cambiare il sistema ma il modello di sviluppo di queste tre aziende. In Europa c’è meno timore di Google o Facebook. Facebook si è preso una multa da un paio di centinaia di milioni per aver mentito all’acquisizione di Whatsapp. Solo i governi hanno il potere di imporre regole a queste compagnie: l’UE mi dà la speranza di una regolamentazione che l’amministrazione Trump di certo non vuole. Cosa mi preoccupa di più? La sopravvivenza degli artisti.» – conclude Taplin sulle pagine del New York Times.