Economia

L’asta di Vickrey: prova a mentire

Il problema dell’inquinamento e delle risorse rinnovabili è più attuale che mai. Ci s’interroga su come rendere le imprese più eco-solidali e su come ridurre i consumi di combustibili inquinanti. Nella miriade di possibili mezzi per fare ciò, uno particolarmente efficace ma spesso sottovalutato è l’asta di Vickrey. Questo meccanismo prende il nome dal suo creatore e premio Nobel per l’Economia, William Vickrey, che nel 1961 lo descrisse in un suo lavoro.

Nella vita è quasi impossibile assicurarsi che una persona stia dicendo la verità. Ancora più difficile lo è nel mercato e nello specifico nel mercato delle emissioni inquinanti. Perciò è meglio concentrarsi sul rendere sconveniente mentire.

Come funziona l’asta di Vickrey?

Immaginate un’economia dove la produzione di energia elettrica avviene soprattutto attraverso l’utilizzo di materiali inquinanti. Lo Stato decide quindi di implementare una green policy basata sull’asta di Vickrey. Questa politica è volta a ridurre le emissioni inquinanti e il modo migliore per farlo, è assicurarsi che sia l’azienda con i minori costi di adattamento delle proprie strutture a convertire i suoi processi. Supponiamo che le aziende di questa economia siano quelle della seguente figura.

Elaborazione dell’esempio a cura dell’autore dell’articolo

L’azienda D è quella con i costi più bassi, seguita dalla B.

Costi e incentivi all’adattamento

Tagliamo la testa al toro. Cosa ci guadagna un’azienda a convertire i propri impianti, rendendoli più eco-solidali? Secondo l’asta di Vickrey, l’azienda che effettua l’adattamento riceve un incentivo pari al costo che sarebbe sostenuto dall’azienda con i costi immediatamente più bassi dopo di essa. Nel nostro esempio, l’azienda B effettua la conversione e spende 80 ma riceve 120, ovvero il costo che sosterrebbe B. Questo genera un profitto di 40. Fin qui appare tutto abbastanza lineare, basta dire la verità. Ma cosa succede quando le aziende provano a dichiarare dei costi non veri?

Caso 1: l’azienda B dichiara dei costi pari a 60

Ripetiamo la regola base dell’asta di Vickrey. L’adattamento è effettuato dall’azienda con i più bassi costi di conversione e viene corrisposto un incentivo pari agli eventuali costi della penultima in “classifica”. In questo caso, B rimarrebbe l’azienda destinata alla conversione e riceverebbe un “rimborso” di 120. Il payoff però rimane 40 perché i costi sostenuti rimangono 80, sia che l’azienda dica il vero, il falso o dichiari di aver visto degli alieni.

Caso 2: l’azienda B dichiara dei costi pari a 105

In questo caso, l’azienda B non è chiamata ad adattarsi e non deve effettuare lavori di adattamento. Questo però provoca la perdita del rimborso di 40 che otteneva dichiarando il vero. In questo scenario, B viene selezionata e ha un profitto di 5.

Conclusione: l’azienda con i costi inferiori non trae alcun vantaggio dal mentire sulla loro entità ma anzi, rischia di perderci.

Quando B il furbo ma finisce per perdere un profitto certo.

E se a mentire è un’azienda a “metà classifica”?

Supponiamo che l’azienda G dichiari dei costi di adattamento pari a 60 anziché i suoi reali costi pari a 110. A questo punto sarebbe l’azienda con i costi più bassi e verrebbe selezionata, ricevendo un incentivo di 80 (il costo di B). La situazione sarebbe la seguente:

80 (rimborso) – 110 (costi effettivi) = – 30

Conclusione: a nessuna azienda conviene mentire con lo scopo di venire selezionata perché può solo rimetterci.

Quando il proprietario di G mente e ottiene una perdita.

Per concludere

L’asta di Vickrey si può generalizzare per ottenere dei risultati più economicamente interessanti ma appare superfluo farlo qui. Per quanto questo sistema sia efficace teoricamente, nella realtà non viene utilizzato di frequente. Un suo punto debole è che non consente al policy maker di scoprire il reale costo di adattamento delle varie aziende e questo può avere degli effetti negativi sul benessere dell’intera comunità.

Published by
Andrea Noli