Il debito pubblico è sulla bocca di tutti. Sale e scende e le cause di queste fluttuazioni vengano attribuite ai più svariati fattori. Spesso le forze di opposizione attribuiscono le colpe al Governo e chi governa le attribuisce a chi lo ha preceduto. Cerchiamo di spiegare in breve cosa sia il debito pubblico. Come dice il nome, esso è il debito che uno Stato ha nei confronti di altri soggetti sia nazionali che esteri.
Questi soggetti comprendono imprese, banche o altri Paesi, che hanno acquisito obbligazioni e/o titoli di Stato e che quindi risultano essere creditori dello Stato. Questi titoli sono emessi per soddisfare il fabbisogno finanziario nazionale.
Oltre allo Stato anche altri soggetti pubblici possono emettere titoli di credito e come per quelli statali essi possono circolare sia internamente al proprio territorio che al dì fuori di esso. Nel primo caso si parla di debito interno mentre nel secondo esso è detto estero. Il debito pubblico di un Paese è quindi costituito dalla somma di quello generato dall’amministrazione centrale e da quelli degli enti locali. La presenza di questa componente nel bilancio statale comporta che per esso vengano disposte le dovute coperture e tempistiche affinché non si corra il pericolo che il Paese sia insolvente e di conseguenza che possa fallire.
Per evitare il peggio, uno Stato può ricorrere ad alcune soluzioni principali: alcune di breve periodo e altre di medio-lungo.
Il debito interno nasce quando un Paese emette titoli per i quali paga il valore nominale più gli interessi, che vengono stabiliti dal mercato. La linea di pensiero prevalente, tende a favorire il debito interno a quello estero per il fatto che i capitali coinvolti nelle operazioni fanno subito ritorno nel sistema economico nazionale e quindi, teoricamente, stimolano i consumi, la domanda e la crescita. Ma cosa succede quando il debito non viene restituito? Per quanto questi titoli sono considerati a basso rischio, i recenti esempi di Spagna (ventesimo secolo), Argentina (primi anni 2000) e Grecia testimoniano che un Paese può trovarsi in quella che viene definita insolvenza sovrana. Ovviamente come i titoli emessi dagli Stati, anche i titoli emessi dagli enti locali possono generare situazioni di insolvenza degli enti emittenti. Le agenzie di rating utilizzano il debito pubblico come misura per determinare il rating assegnato ad un Paese e quindi determinando l’immagine che questo assume agli occhi dei potenziali investitori.
Il rapporto debito/PIL è una misura utilizzata dagli economisti per determinare la possibilità che un Paese ha di ripagare il proprio debito. Questa misura non è universalmente accettata come strumento valido dato che mette a confronto una somma dovuta con un indice della produttività di uno Stato (semplificando). Ma che rapporto esiste tra debito e deficit? Il deficit pubblico è la differenza tra le entrate e le spese pubbliche. In base alle norme dell’Unione europea, esso non deve superare il 3% del PIL, anche se gli sforamenti sono abbastanza diffusi. Se uno Stato ha speso più di quanto ha “incassato” è probabilmente fatto ricorso al debito pubblico. Per questo, i due indici sono strettamente correlati. Attualmente in Italia il rapporto debito/PIL supera il 132%.
Essere in debito non è di per sé sinonimo di una situazione tragica. Pensate ad un imprenditore che chiede un finanziamento per rinnovare le proprie strutture operative e che nell’anno X redigerà un bilancio in rosso ma in X+1 sarà in attivo. Allo stesso modo un Paese può indebitarsi perché ha investito in infrastrutture o politiche volte al rafforzamento del mercato del lavoro. Questo genera uno stimolo alla spesa privata e una conseguente crescita economica a scapito del risparmio.
Come detto il debito pubblico può servire a finanziare opere pubbliche. Queste a loro volta possono portare i Governi ad abusare del debito per mantenere promesse elettorali molto gravose. Da qui si torna al discorso delle agenzie di rating e alla bassa valutazione di un Paese di ripagare il proprio debito. In sostanza, due facce della stessa medaglia. Il debito pubblico dovrebbe trovarsi in un limbo tale per cui è abbastanza grande da permettere la crescita economica ma non così grande da far schizzare alle stelle i tassi di interesse.