Recentemente sono tornate alla ribalta le sanzioni tra Paesi. Le azioni russe in Crimea e negli ultimi mesi le vicende di Sergei Skripal e sua figlia, hanno riaperto il dibattito sull’efficacia e sull’opportunità di imporre sanzioni internazionali per cercare di arginare un comportamento ritenuto pericoloso. Come dimostrato varie volte, il Paese colpito riesce comunque a sopperire al colpo subito sia con accordi sottobanco sia cambiando il proprio tipo di economia.
Spesso ci si perde nelle traduzioni e si finisce per includere nelle sanzioni anche le tariffs che hanno scopi politicamente simili ma costituiscono un fenomeno a parte. Si partirà quindi cercando di fare chiarezza su queste differenze.
Le sanzioni economiche sono una tipologia di sanzione internazionale, è come per quelle di tipo amministrativo, servono a punire o a proteggere un interesse terzo. Trattandosi di sanzioni tra Stati, queste hanno risvolti geopolitici e spesso sono la via per colpire un Paese senza doverlo fare con le armi.
Come detto, le sanzioni economiche possono essere viste come una “reprimenda” da parte di un’organizzazione o di uno o più Paesi verso un altro (o altri). I tipici esempi sono il divieto di commercio con quel Paese, limitazioni legate a specifici settori. Le tariffe invece sono un aumento del costo del commercio di un bene e possono essere motivate sia da ragioni esclusivamente economiche che geopolitiche.
Nei secoli passati, le sanzioni erano tipicamente imposte dagli Stati più grandi su quelli più piccoli al fine di ottenere concessioni di tipo territoriale o economico. Oggi sono più uno strumento di punizione ma come nel caso del blocco all’Iraq, spesso sono bypassate sia dal Paese colpito che da quello che colpisce. Si crea in sostanza un dilemma del prigioniero a livello geopolitico.
Molti analisti di varie scienze sostengono che per quanto spesso le sanzioni si abbiano in risposta a violazioni dei diritti umani da parte di un regime, i primi a subirne le conseguenze sono i ceti sociali più poveri. Inoltre, come nel caso delle sanzioni alla Russia per i fatti in Crimea, anche l’economia del Paese che le impone ne risente. Basti pensare ai milioni di Euro che le aziende europee hanno perso non potendo commerciare con la Russia. Inoltre spesso come già detto, le sanzioni vengono aggirate sia da chi le impone che da chi le subisce quindi la loro efficacia è tutto fuorché assoluta.
Il primo impatto è quello di un blocco delle importazioni e/o esportazioni e quindi uno shock all’economia del Paese sanzionato. Questo può portare a soluzioni diametralmente opposte:
L’esempio principe di questo è l’embargo statunitensi contro Cuba. In altri casi come per l’embargo sul petrolio promosso dall’OPEC negli anni ’70 a seguito della vendita di armi statunitensi ad Israele, si hanno effetti del tutto non calcolati: la Borsa subì un crollo con effetti che si sentirono in varie parti del mondo, il prezzo del petrolio salì alle stelle e parti di questi guadagni servirono a comprare armamenti che aumentarono l’instabilità di tutta la regione.
Storicamente le sanzioni imposte da più di uno Stato sono più efficaci di quelle imposte da un singolo Paese. Tuttavia raramente esse hanno l’effetto voluto e poche volte sono riuscite a far crollare i regimi indesiderati. Questi strumenti non sono precisi in quanto non colpiscono solo i capi di Governo o le varie élite ma interi settori o economie. Alla luce di questo, gli esperti concordano che esse rimangono più uno strumento propagandistico che politico.