Nell’ambito del rapporto di lavoro, il pagamento della retribuzione, quale corrispettivo del lavoro prestato, rappresenta la principale obbligazione del datore e presenta la peculiarità di non poter scendere sotto un certo minimo per la tutela della posizione del lavoratore quale contraente debole nel rapporto. Si aggiunge l’esigenza di assicurare al lavoratore la conservazione del posto e un reddito in situazioni di impossibilità temporanea di esecuzione della prestazione.
Esistono varie nozioni di retribuzione: la retribuzione in senso stretto,le liberalità, i rimborsi, la retribuzione imponibile, relativa alle imposte fiscali, e la retribuzione a fine previdenziale, relativa ai contributi previdenziali.
A questo variegato panorama interno al rapporto di lavoro si aggiungono le nozioni di retribuzione imponibile rispettivamente ai fini previdenziali e ai fini tributari, oltre che la differenza fondamentale per cui l’imponibile tributario riguarda le somme effettivamente corrisposte, mentre l’imponibile previdenziale, al fine di garantire prestazioni adeguate, fa riferimento alla retribuzione effettiva solo se non inferiore a quella stabilita dai contratti collettivi. La contribuzione previdenziale, per la parte a carico del datore di lavoro, costituisce un costo aggiuntivo rispetto alla retribuzione, mentre l’imposizione fiscale resta interamente a carico del lavoratore, che subisce le relative ritenute sull’importo lordo della retribuzione da parte del datore di lavoro. La combinazione di questi due prelievi pubblici fa sì che la retribuzione netta disponibile per il lavoratore sia molto inferiore al complessivo costo del lavoro.
La retribuzione deve essere determinata o almeno determinabile nel suo ammontare; è obbligatoria poiché il datore ha l’obbligo e non la facoltà di corrisponderla; è onerosa poiché non rappresenta una donazione ( le mance date dai clienti sono considerate come piccole donazioni, salva l’istituzione in azienda di un apposito fondo mance). La retribuzione è, inoltre, corrispettiva, essendo collegata alla permanenza del rapporto di lavoro. Esulano dalla nozione di retribuzione, i rimborsi delle spese sostenute dal lavoratore nell’interesse del datore.
Il datore ha l’obbligo di versare la retribuzione secondo il principio della post-numerazione, ossia dopo che la prestazione lavorativa è stata effettuata.
Essa viene per prassi versata presso la sede del datore, obbligato anche a consegnare al lavoratore un prospetto paga, con indicazione analitica delle diverse voci retributive e delle trattenute effettuate.
In base all’art. 36 Cost., essa deve essere proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e deve essere in ogni caso sufficiente ad assicurare un’esistenza dignitosa. A tal proposito, la disciplina prevede salari più alti per le qualifiche più elevate, mentre per quanto riguarda gli scatti di anzianità, essi poggiano sulla presunzione che con l’andar del tempo, il lavoratore, acquisendo maggiore esperienza, migliori la qualità della propria prestazione. La qualità del lavoro viene compensata anche con i premi di produttività.
La retribuzione è regolata sia dalla legge sia dai contratti collettivi (fonti concorrenti di disciplina), e questi ultimi non possono scendere al di sotto dei minimi retributivi fissati dalla legge, né possono superare dei tetti massimi stabiliti anch’essi dalla legge.
La legge indica le diverse forme: a tempo, a cottimo, partecipazione agli utili o ai prodotti, provvigioni, prestazioni in natura, premi di produzione.
E’ composta, anzitutto, da una paga base, fissata dai contratti collettivi. Nella retribuzione rientrano gli scatti di anzianità, ossia aumenti periodici, derivanti dall’anzianità di servizio del lavoratore presso la medesima azienda. Della retribuzione fanno parte anche le mensilità aggiuntive (la 13a pagata a dicembre e la 14a pagata a giugno), i premi collegati alla produttività, indennità varie (cassa, mensa, trasporto etc), e maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno e festivo.