Le agenzie di rating probabilmente non piacciono a nessuno ma, volenti o nolenti, svolgono una funziona fondamentale per l’economia ossia “dare i voti” ai titoli.
Le loro valutazioni permettono agli investitori di orientarsi e di creare i propri portafogli con cognizione di causa.
Oggi, probabilmente, svolgono una funzione ancora più importante perché stiamo facendo molto affidamento sul Quantitative Easing e la notizia di un possibile declassamento da parte di Mooby’s non è proprio la migliore delle notizie.
Perché? Qual è il problema?
Bisogna notare che sono ritenuti idonei all’acquisto (per quanto riguarda il Quantitative Easing) solo i titoli con rating a livello di investimento, vale a dire almeno BBB- nella scala di Standard&Poor’s, Fitch, Dagong e Dbrs e Baa2 in quella di Moody’s.
Attualmente i rating assegnati all’Italia sono:
1) BBB per Standard&Poor’s
2) BBB per Fitch
3) BB+ per Dagong
4) Baa2 per Moody’s
5) BBB+ per Dbrs
Dando un primo sguardo veloce parrebbe che sia sufficiente un’ulteriore riduzione per far sì che la Penisola, per continuare a trarre beneficio dal Quantitative Easing, debba accettare un programma di aiuti, cioè l’intervento della troika.
Esattamente la condizione imposta alla Grecia.
In realtà è previsto l’acquisto dei titoli “che siano valutati almeno BBB- da almeno una delle maggiori agenzie”.
Niente affatto!
Questo perché il declassamento rende il titolo più rischioso e quindi viene richiesto un tasso di interessi superiore.
L’aumento dei tassi di interesse porta ad un deprezzamento dei titoli di lunga scadenza che le banche hanno in pancia. Ciò incide sui bilanci, già provati, in tema di accantonamenti, dall’introduzione di IFRS9. In questo caso l’aumento del rendimento dei titoli di stato potrebbe scoraggiare le banche a erogare prestiti a famiglie e imprese, che potrebbero rivedere al rialzo gli interessi chiesti sui NUOVI mutui.
Secondo Carlo Cottarelli, se per ogni punto percentuale di aumento dei tassi si producesse un incremento di pari dimensione del costo medio di finanziamento per imprese e cittadini, si avrebbe ogni anno un costo aggiuntivo di 1,8-2,8 miliardi.
Con un debito declassato (magari anche dalle altre principali agenzie di rating che spesso seguono a ruota) e quindi meno affidabile, aumenterebbe il costo di rifinanziamento per il Tesoro.
Nel caso in cui, stima l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, si verificasse uno shock di 100 punti base (1%) su tutta la curva dei rendimenti (a partire da gennaio 2018 e per tutto il periodo di previsione del DEF, quindi fino al 2020), la spesa per interessi crescerebbe di circa 1,8 miliardi nel primo anno, 4,5 miliardi nel secondo e 6,6 miliardi nel 2020. Di conseguenza, il fabbisogno crescerebbe di 0,1, 0,3 e 0,4 punti di PIL.