Golden Rule: cos’è e cosa comporterebbe la sua applicazione per l’Italia?
Nel contesto della finanza pubblica, l’espressione golden rule si riferisce a un particolare criterio di conduzione della politica fiscale, in base al quale l’indebitamento pubblico è ammesso solo per le spese in conto capitale destinate allo sviluppo delle infrastrutture e agli investimenti in capitale umano, mentre le spese correnti sono finanziate solo attraverso il prelievo fiscale. In quest’ottica, il finanziamento degli investimenti pubblici attraverso il disavanzo di bilancio rappresenta uno strumento per sostenere la domanda aggregata, e quindi per accrescere il livello dell’attività produttiva durante la fase di contrazione del ciclo economico : sarà la fase successiva di ripresa economica ad alimentare la crescita del gettito fiscale che compenserà, in un’ottica di equilibrio di bilancio nell’intero ciclo economico, il deficit pubblico che ha permesso il finanziamento degli investimenti pubblici.
Si può discutere sull’utilità di una tale regola, ma, rimane in ogni caso il fatto che, anche nella sua versione più generosa, quella in cui vengono scorporati gli investimenti lordi, la regola aurea prevede che il saldo corrente del bilancio pubblico (la differenza fra entrate e spese correnti) debba essere in pareggio.
I tentativi di Mario Monti
La golden rule è un pallino dell’ex Presidente del Consiglio Mario Monti.
L’ex Presidente durante i lavori della conferenza intergovernativa che avrebbe messo a punto il testo del nuovo Trattato (firmato ad Amsterdam nel ’97), si battè per l’introduzione della “golden rule”. Una battaglia persa, allora, anche per la ferma opposizione del commissario agli Affari economici e monetari, Yves-Thibault de Silguy.
Da Presidente del Consiglio spinse nuovamente sulla proposta, ancora una volta senza risultati. La proposta venne bocciata dai partner europei per il timore che alcuni Stati membri potessero usare degli artifizi contabili per includere spese correnti nelle spese in conto capitale.
Diversi gli argomenti a favore della golden rule. Tra i più importanti:
- è usata senza difficoltà dal Regno Unito;
- in un periodo di quasi recessione, il fiscal compact può diventare una regola troppo rigida o persino “stupida” perché impedisce l’uso di politiche anticicliche;
- gli investimenti pubblici e le spese pubbliche per la ricerca contribuiscono alla crescita dell’economia e quindi a mantenere, o persino a ridurre, il rapporto debito/Pil.
Possibili effetti della golden rule in Italia
L’Italia è un paese in cui la spesa pubblica incide per oltre il 50% sul PIL.
Tuttavia la quasi totalità della spesa viene indirizzata in spesa corrente e non in spesa per investimenti.
Ciò comporta la necessità di assorbire molte risorse dal settore privato attraverso le imposte, le tasse e i contributi senza però provocare un sostanziale impatto alla crescita economica.
L’applicazione della golden rule in Italia avrebbe il beneficio di spingere le politiche di bilancio verso una tendenza positiva di medio-lungo.
Gli investimenti, inoltre, non rilanciano solo la domanda, ma aiutano a far crescere il rendimento atteso del capitale privato, dunque portano anche più investimenti privati, coi conseguenti effetti positivi sul PIL. Il problema?
In Italia la pubblica amministrazione non è in grado di gestire efficientemente la spesa quindi la trasmissione degli investimenti comporterebbe anni.
Critiche alla Golden Rule
Uno dei principali punti logici che osteggiano questo tipo di artificio contabile è che, appunto, si tratta di un artificio contabile.
Pur non considerando la spesa in conto capitale nel computo del deficit bisogna sempre considerare che quei soldi esistono e andranno prelevati sotto forma di imposte o chiesti al mercato in cambio di titoli di Stato.
In secondo luogo esiste anche un punto critico di azzardo morale.
Se non venissero considerate le spese in conto capitale nel deficit allora tutto lo spazio fiscale esistente verrebbe utilizzato per le spese correnti.
In terzo luogo, una modifica dei sistemi di calcolo non può avvenire unilateralmente ma deve essere univocamente accettata anche dagli altri Paesi dell’UE.