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Ambiente ed Economia

Copertina a cura di Andrea Noli

Ambiente: cinque players molto diversi

La salvaguardia dell’ambiente è ormai un tema sempre più presente nella narrativa culturale mondiale. Nonostante le diversità nei livelli di investimenti tra i vari Paesi, il trend della spesa in green innovation è complessivamente in aumento. In questo articolo-ricerca, pongo a confronto cinque Paesi che per un motivo o per l’altro giocano un ruolo importante nella lotta all’inquinamento.

La Cina e l’ambiente

Durante la sua grande crescita economica, la Cina ha contribuito ad una grande fetta delle emissioni di CO2 globali (quasi più dei Paesi dell’Europa occidentale). Negli ultimi anni ha però invertito la rotta è ora si pone come accanito sostenitore di uno sviluppo meno impattante per l’ambiente. La Cina in questo contesto agisce come un’entità anacronistica: sta toccando con mano ciò che molti altri Stati hanno subito nei decenni passati, ma nel giro di pochi anni. Solo per quanto riguarda la CO2 si parla di 450 parti per milione, ovvero un livello che gli esperti definiscono come limite per la salute umana e ambientale.

Ambiente e consumo energia rinnovabile
Elaborazione di Andrea Noli di dati della Banca Mondiale

L’Airpocalypse

Questa “stagione di smog” come è stata definita, è stata soprannominata Airpocalypse”. Che questo abbia smosso le anime dei principali dirigenti del partito comunista cinese e abbia portato ad una loro conversione in amici della natura? Ovviamente sarebbe ingenuo pensarlo. La questione ambientale si intreccia con quella di politica interna ed internazionale. Il costo dell’inquinamento per la Cina supera i duecento miliardi di Dollari l’anno e per un Paese che si pone come nuova grande potenza, questo non è sostenibile.

Il miracolo costaricano

Il Costa Rica è riuscito a passare da un già sorprendente record di oltre 200 giorni di utilizzo di sola energia proveniente da fonti rinnovabili a quasi 300. Il Costa Rica rappresenta lo standard da seguire e da imitare per il resto del pianeta. Tra il 2014 e il 2016, la media di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è stata intorno al 98% di quella totale.

Le critiche al presunto miracolo

Alcuni critici citano la particolare conformazione del territorio del Paese come spiegazione degli incredibili numeri raggiunti nel campo dell’energia pulita. Tuttavia la chiave è il voler sfruttare la grande quantità di fiumi, dighe e vulcani per soddisfare il fabbisogno energetico, in modo pulito. Questa cultura eco-solidale è “nata” simbolicamente nel 1948, quando l’allora presidente José Figueres Ferrer abolì le forze armate del Paese e decise che il budget destinato ad esse, sarebbe stato dedicato principalmente all’istruzione, alla cultura e all’ambiente.

Ambiente ed emissioni CO2
Elaborazione di Andrea Noli di dati della Banca Mondiale

Perché inserire l’Italia?

Di solito in questo tipo di confronti si usa sempre inserire il Paese dei lettori così che essi possano usarlo come benchmark di riferimento per farsi un’idea della situazione estera. Questo però non deve far sottovalutare l’impegno del Bel Paese nel diventare meno eco-impattante. Le inefficienze e le male amministrazioni rimangono ma iniziano a vedersi i germogli di una crescente cultura dell’eco-solidale.

Come se la cava l’Italia?

L’agenzia EUROSTAT ha certificato che nel 2017 erano già stati raggiunti gli obiettivi fissati per il 2020 in ambito di produzione di energie da fonti rinnovabili. Nel 2017, gli investimenti in fonti alternative sono stati di due miliardi e mezzo con un aumento di circa il 15% rispetto all’anno prima. Il 21 maggio 2017, l’87% della domanda nazionale di energia è stato coperto da fonti rinnovabili. La media giornaliera è intorno al 35% e questo è un segnale che anche l’Italia si sta muovendo verso un’economia sempre più eco-solidale.

Ambiente - PIL
Andamento del PIL. Elaborazione di Andrea Noli su dati della Banca Mondiale.

L’orso russo ama l’ambiente?

Lo Stato con la superficie più vasta nell’intero pianeta, di cui una gran parte costituita da foreste. Basta e avanza per inserirla nel mix. I legami tra il Cremlino e Gazprom sono ben noti e anche questo spiega la non brillante (…) figura della Russia nei grafici qui mostrati. Tuttavia qualcosa si muove: l’agenzia russa per l’energia nucleare, Rosatom, ha dichiarato nel 2017, che le ricerche sull’atomo e sulle fonti rinnovabili non sono “rivali” ma possono essere complementari. L’agenzia ha previsto un piano per lo sviluppo di centrali per lo sfruttamento dell’energia eolica ma in questo settore, la Russia risulta essere molto arretrata rispetto agli altri sottoscrittori dell’accordo di Parigi.

Ancora molto da fare

Un altro punto a sfavore della possibilità di vedere una Russia più “verde” è il potere che l’esportazione di gas le garantisce. Oltre a essere il principale fornitore di vari Paesi dell’Est Europa, la Federazione fornisce circa il 25% del gas importato dall’U.E.. Questo garantisce al Paese un ruolo cruciale nello scacchiere geopolitico mondiale e di esercitare il suo potere attraverso la chiusura dei “rubinetti” ai Paesi che ritieni ostili oppure con sconti e tariffe speciali agli Stati amici.

La situazione statunitense

Gli sforzi fatti dall’amministrazione Obama a favore dell’ambiente, stanno venendo piano piano eliminati dall’attuale presidente Donald Trump. Oltre ad uscire dall’accordo di Parigi, Trump ha promesso che avrebbe rilanciato le miniere di carbone. Questa mossa, era diretta ad assicurarsi il voto dei lavoratori del settore ormai in crisi ma ha causato sconcerto nel mondo degli studiosi ambientali, in quanto completamente anacronistica e in controtendenza rispetto ai progressi della ricerca. Che gli States fossero stessero entrando in un’era di arretramento scientifico dal punto di vista ambientale, lo si era già capito dalla nomina del nuovo capo della Environmental Protection Agency. La persona scelta dal presidente è Scott Pruitt (dimessosi circa un’ora prima della pubblicazione di questo articolo). Sotto la sua guida, l’agenzia ha ricevuto un taglio al budget del 24% e una riduzione del personale del 20% su 15000 impiegati.

Conslusioni

In una società che finalmente si sta rendendo conto dell’importanza di adattarsi ai cambiamenti climatici e di cercare di limitarne i danni, come possiamo vedere da questi cinque esempi, non tutti la pensano allo stesso modo. Due dei principali inquinatori del pianeta non sembrano essere eccessivamente preoccupati dal problema. Uno di questi si sta trovando ad avere a che fare con tormente di neve e uragani di forza mai vista prima. L’altra ha un ruolo centrale, sia geograficamente sia politicamente, tra Europa e Asia e difficilmente ci rinuncerà per il bene dell’ambiente. C’è ancora speranza, i Paesi virtuosi esistono e agiscono ma la strada si presenta ricca di ostacoli, soprattutto la mancanza di volontà di intervenire.

Cosa succederà nei prossimi anni è un mistero ma come diceva Manzoni, ai posteri l’ardua sentenza.