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Il morbo di Baumol e la fuga di cervelli

investire in istruzione e morbo di Baumol

E’ fatto ormai noto che l’Italia non occupi i primi posti tra i membri UE per quanto riguarda la spesa pubblica in alcuni settori particolari. La spesa pubblica in istruzione, per esempio, rappresenta solo il 3,9% del PIL italiano. I recenti strafalcioni commessi dai maturandi del 2018 da un lato sono un chiaro segnale che la spesa pubblica in istruzione potrebbe e dovrebbe essere maggiore, dall’altro lato sono lo specchio di un paese che, ormai, si colloca ultimo in Europa per gli investimenti in istruzione. I dati OCSE, infatti, mostrano che la spesa in istruzione come quota di spesa pubblica è molto al di sotto della media UE: tale media, infatti, si assesta intorno al 10,2% mentre in Italia la spesa in istruzione rappresenta solo il 7,9% della spesa pubblica. Il morbo di Baumol sembra poter essere ben rappresentato, tristemente, dallo scenario attuale del nostro paese.

Spesa pubblica in percentuale del PIL. Giustificazione del morbo di Baumol.

Lungimiranza o follia?

Già nel lontano 1966, un economista statunitense, William Jack Baumol aveva introdotto il cosiddetto modello a crescita sbilanciata conosciuto anche come “morbo di Baumol”. Ma che cos’è? E soprattutto, come si relaziona alla quota percentuale di spesa pubblica italiana in istruzione?

Il modello

Nell’opera “Performing Arts- The economic Dilemma” a cura di Baumol e Bowen, i due autori, hanno spiegato vari aspetti delle arti performative dal vivo ma non solo. I loro studi si concentrano sui costi relativi a settori la cui produttività resta costante nel tempo e, tra questi, sono inclusi oggi anche istruzione e sanità. Secondo Baumol, infatti, per riprodurre un quartetto di Mozart, sarà sempre necessario lo stesso numero di musicisti che lo stesso Mozart aveva previsto. Allo stesso modo, per riprodurre l’Otello di Shakespeare sarà necessario sempre lo stesso numero d attori. Dunque la dinamica della produttività di tali settori non è cambiata e non cambierà nel tempo. In termini esclusivamente economici e non etici, un mancato aumento della produttività dovrebbe corrispondere a un salario costante nel tempo per queste categorie di lavoratori. Nella realtà, però, i salari sono aumentati e dunque tali settori hanno costi crescenti nel tempo, nonostante la produttività sia costante: questo costituisce il morbo di Baumol.

Implicazioni e impatto sulla spesa

L’esistenza di costi medi di produzione crescenti nel tempo, con produttività costante, si traduce in un aumento del prezzo reale dei beni in questione. Come ben sappiamo, un aumento del prezzo riduce la domanda del bene in questione e, secondo Baumol, la tendenza di tali costi a crescere tradotta in un costante rialzo dei prezzi reali, porta ad annullare totalmente la domanda di tali beni. Il nodo centrale della questione è che il settore a produttività costante, definito “stagnante”, necessiterà di molte risorse pubbliche. Su questo argomento esistono varie opinioni. C’è chi sostiene che l’evidenza empirica mostri un forte legame tra le arti e i servizi come istruzione e sanità. Secondo altri, invece, si deve considerare l’effetto del progresso tecnologico. Essi sostengono che la domanda in questi settori cresca più che proporzionalmente rispetto al reddito. Dunque un aumento del reddito, potrebbe compensate la riduzione della domanda dovuta al rialzo dei prezzi.

Il morbo di Baumol in Italia

Il modello a crescita sbilanciata di Baumol mostra come due settori, uno produttivo e uno stagnante, crescano a ritmi differenti. Questo ha un impatto sulla crescita di un paese anche a livello culturale. Se le arti performative sono importanti, l’istruzione lo è ancora di più quindi il morbo di Baumol si può applicare per analogia. Collocarsi tra gli ultimi, rispetto a paesi membri e non membri UE, sicuramente spiega la fuga di cervelli in atto da svariati anni. Sembra, infatti, che il nostro paese non sappia porre rimedio al grande flusso migratorio di giovani. Questi innanzitutto si muovono dal Mezzogiorno verso il Nord e poi dal Nord verso paesi esteri. Questa è definita la “follia” dei talenti all’estero. Carla Facchini, docente al dipartimento di Sociologia dell’Università Milano-Bicocca, in una recente intervista ha sostenuto che “un paese che regala ad altri paesi le sue risorse perpetua le differenze sociali e non può far altro che rallentare il suo ritmo di crescita”. Che l’interpretazione del morbo di Baumol, applicato all’istruzione, sia la possibile soluzione a far crescere il paese e a trattenere i talenti nostrani?