Intervista al Professor Amato 4: il futuro dell’euro
Concludiamo l’intervista al Professor Amato con due domande in particolare. La prima, ha a che fare con ciò che spesso sentiamo dire circa l’aver pagato la guerra in Vietnam con Bretton Woods. La seconda, invece, riguarda i possibili scenari futuri dell’Euro.
“Con Bretton Woods abbiamo pagato la guerra in Vietnam”. Cosa ne pensa?
La guerra in Vietnam l’abbiamo pagata soprattutto con la fine di Bretton Woods. Ma questo è, in effetti, un riassunto un po’ troppo brusco. Per contestualizzarlo, è necessario leggere il discorso con cui Nixon nel 1971 sospende la convertibilità. Perché la sospende? Perché dice: noi, gli USA, abbiamo pagato il nostro ruolo di pacificatori nel mondo, e quindi il nostro ruolo internazionalistico di “esercito per la liberazione dell’Occidente dal pericolo comunista”, con una situazione interna ormai insostenibile per la nazione americana.
Quindi la sospensione della convertibilità del dollaro in oro è vista da Nixon come la “conditio sine qua non” per ripensare quello che lui chiama “fair burden” degli USA e dei loro alleati nel pagamento delle spese militari per la sicurezza dell’Occidente. Da questo punto di vista, che i deficit americani accumulati dal 1958 al 1971 fossero legati evidentemente a spese militari di cui non beneficiava, in termini di sicurezza, non solo l’America ma tutto l’Occidente, è fuori discussione. Che quei deficit avessero creato pressioni speculative sul dollaro è innegabile; che questo costituisse una ragione sufficiente, almeno da parte americana, per sospendere una convertibilità a cui l’America si era impegnata è altrettanto certo.
Il prosieguo di quella vicenda mostra che l’Europa ha continuato a non pagare il “fair burden” perché è stato preferito un “non-sistema” post Bretton Woods di cambi flessibili e di “fiat money” alla ridefinizione dei rapporti tra debitori e creditori che erano esplosi grazie e a causa delle spese militari americane.
Quali sono le prospettive per l’euro secondo lei?
Il mio auspicio è che le “élite” , se sono davvero tali, e non semplicemente un gruppo di potere con le “mani sulla città”, smettano di essere sorde e che accettino di non buttare via con l’acqua sporca di soluzioni affrettate e populiste il bambino del problema dell’architettura dell’euro. Non c’è nulla di male ad ammettere che l’euro avrebbe potuto essere costruito meglio. Non si tratta neanche innanzitutto di fare “autodafé” , ammettendo retrospettivamente che è stato costruito male. Si tratta di dire, guardando in avanti che, a questo punto arrivati, l’euro non può non essere riformato, e riformato in modo da mettere gli Stati aderenti alla zona Euro in condizioni di poter riassorbire gli effetti della crisi, e in particolare la disoccupazione strutturale che è stata amplificata dai meccanismi deflattivi dell’euro.
I margini ci sono. Personalmente ho una proposta sulla camera di compensazione europea. Constato che il movimento fondato da Yanis Varoufakis, DiEm25,ha ripreso nel suo programmala proposta in maniera quasi letterale; in una prima versione del programma addirittura c’era un esplicito riferimento ai miei lavori. La questione diventa quella di ridefinire i meccanismi di funzionamento dell’euro, per esempio passando attraverso forme di sanzione per il mancato riassorbimento del surplus. Ancora una volta, non si tratta di estendere la logica punitiva dell’austerità anche ai paesi in surplus ma di ragionare in termini di meccanismi che ripartiscano i costi dell’aggiustamento degli squilibri fra debitori e creditori , fra Paesi in deficit e in surplus. Questa mi sembra la questione fondamentale.