Si dice che non tutti i supereroi hanno il mantello e infatti alcuni girano in giacca e cravatta: questa è la storia di Giorgio Ambrosoli.
Nato a Milano nel 1933, cresce in una famiglia profondamente cattolica e conservatrice. Conclusi gli studi superiori, imita il padre è si iscrive con successo nella Facoltà di Giurisprudenza. Dopo aver iniziato a lavorare nello studio dell’avvocato Cetti Serbelloni, cambia strada e si specializza nel diritto fallimentare e sulle liquidazioni coatte amministrative.
In breve tempo diventa collaboratore dei commissari liquidatori della Società Finanziaria Italiana. Nel 1974, riceve l’incarico che segnerà la sua vita: Guido Carli, governatore della Banca d’Italia, lo nomina commissario liquidatore della Banca Privata Italiana.
Fondata nel dopoguerra, fino al 1960 è una banca di modeste dimensioni con un solo sportello. Come per Ambrosoli, le sorti delle Banca Privata cambiano totalmente con l’ingresso in scena di Michele Sindona. Nel 1960, il piduista acquista la quota di maggioranza con l’appoggio anche dello IOR che assume una piccola quota. Nel 1973 iniziano i problemi.
Michele Sindona, come Ambrosoli, era laureato in Giurisprudenza ma passerà alla storia come il fulcro di misteri irrisolti e attività criminali nell’Italia della prima repubblica. Inizialmente, utilizza le sue doti per modernizzare il mondo finanziario: importa elementi tipici di Wall Street come le OPA, i conglomerate e le private equity. Ma non siamo di fronte a un uomo per bene, Sindona stringe quasi subito rapporti con ambiente oscuri dello Stato, la mafia, la P2 e molti altri.
Acquista l’allora Banca Privata Finanziaria (che in seguito diventerà “Italiana”, dopo la fusione con la Banca Unione) come parte di una strategia di acquisizione di vari istituti ma di lì a poco arrivano le prime indagini a suo carico: riciclaggio di denaro derivante dal traffico di droga collegato alle attività della mafia americana.
Il gruppo Sindona inizia a colare a picco nel 1973: i correntisti fuggono e la della Banca Privata Italiana passa sotto il controllo del suo maggiore creditore, la Banca di Roma. Tuttavia, la Banca d’Italia accerta delle gravi irregolarità nella gestione contabile delle banche di Sindona e ammette la banca alla procedura di liquidazione coatta amministrativa. Le strade di Ambrosoli e Sindona si intrecciano. Poco tempo dopo, Sindona riceve un mandato di cattura dai giudici di Milano.
Già attraverso il Banco di Roma, la banca centrale aveva iniziato ad indagare e analizzare le attività degli istituti di Sindona al fine di tutelare i risparmiatori. Quando Ambrosoli entra in scena, il crack finanziario è dietro l’angolo e Guido Carli decide di concedere un prestito a Sindona per cercare di non gettare nel panico i correntisti. Per assicurarsi che il prestito fosse utilizzato al meglio, viene dato il compito di gestirlo a Gianbattista Fignon, direttore centrale del Banco di Roma. Inoltre, come ulteriore misura preventiva, le banche di Sindona vengono riunite in un unico istituto.
Il gruppo Sindona si rivela ben presto un vaso di Pandora e le scoperte di Fignon, innescano una spirale che porterà alla morte di Ambrosoli. Sindona aveva costruito un vero e proprio schema criminale per falsificare le scritture contabili, deviare la liquidità delle sue banche milanesi alla Banca Privata Italiana e instaurato rapporti e gestito soldi per la criminalità più varia ed eterogenea possibile. Fignon ricostruisce minuziosamente tutto e produce diverse relazioni che poi consegna ad Ambrosoli.
Ambrosoli, come commissario liquidatore, si trova ad indagare ancora più a fondo di Fignon sulle vicende di Sindona. Diventato direttore della banca, l’avvocato scopre un giro di corruzione con organi dello Stato e ben presto capisce che la sua vita stava per cambiare per sempre. Da prima riceve pressioni e tentativi di corruzione per testimoniare la buona fede di Sindona e permettere che la Banca d’Italia concede la liquidità necessaria a sanare il buco creato dal faccendiere e così facendo salvando Sindona da qualsiasi processo. Ambrosoli però è un uomo integerrimo e non cede. È anche un uomo realista e sa che questa sua indagine lo ha portato a mettere a rischio la sua stessa vita.
Nel 1975 scrive alla moglie
Anna carissima, è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell’Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [… ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro.. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi […] Giorgio.
Ambrosoli scopre presto che Sindona ha messo mano anche nelle vicende di una banca statunitense, la Franklin National Bank, che se possibile aveva una situazione ancora peggiore delle banche italiane. Questa rivelazione fa entrare in gioco l’FBI. Arrivano le prime minacce di morte ma Ambrosoli non è intenzionato a cedere e rimane deciso a ribadire la necessità di liquidare la banca e far perseguire penalmente Sindona. Lo Stato non gli concede alcuna scorta e l’unico a fargli da guardia del corpo sarà il maresciallo della Finanza, Silvio Novembre. Le cose non vanno meglio dal punto di vista del sostegno della banca centrale: i suoi due “alleati”, Paolo Baffi (allora governatore) e Mario Sarcinelli vengono incriminati per favoreggiamento personale e interesse privato in atti d’ufficio, in un’indagine parallela a quella su Roberto Calvi e il Banco Ambrosiano.
Le minacce diventano sempre più martellanti e Ambrosoli identifica il chiamante come “picciotto” per il suo spiccato accento siciliano. Le possibilità sono due: ritrattare o morire. Ambrosoli conclude la sua inchiesta e si appresta a sottoscrivere una dichiarazione formale il 12 luglio 1979. Per lui quel giorno non arriverà mai: l’undici, mentre sta rincasando, viene fermato dal sicario William Joseph Aricò e freddato da quattro colpi di pistola. Ai suoi funerali non presenziò nessun esponente pubblico ad eccezione del governatore di Bankitalia, Paolo Baffi.