Home » Asset management » APT: quando il CAPM non basta più

Ogni studente di finanza ha sentito parlare, almeno una volta, del Capital Asset Pricing Model. Studiato e analizzato in tutte le salse, sembra essere il modello perfetto eppure per molti non è così. Quali sono i suoi limiti? Probabilmente molte delle ipotesi a suo fondamento. Anche per queste ragioni, nasce l’APT.

APT: l’arbitraggio entra in gioco

Nel 1976 Stephen Ross pubblicò un suo paper ” The Arbitrage Theory of Capital Asset Pricing”. Il modello, proprio come il Capital Asset Pricing Model, è un modello di prezzamento degli asset.

Paper by Stephen Ross,1976.

In cosa differisce dal CAPM? Possiamo capirlo già dal nome, se ricordiamo le ipotesi alla base del CAPM. In quest’ultimo modello, infatti, si ipotizza che non sia possibile l’arbitraggio. Non è, quindi, concesso ottenere un plus senza aver investito proprie risorse. Con l’APT, invece, l’arbitraggio diventa lo “strumento” per riportare l’equilibrio, in un certo senso. Ma capiamoci meglio.

Il modello

Secondo l’APT il rendimento atteso di un asset può essere costruito come funzione lineare di molti fattori ben diversi tra loro. Ecco qui la fondamentale differenza con il CAPM: nel CAPM l’unico fattore di rischio è sintetizzato dal rischio di mercato. Con l’APT siamo capaci di considerare diversi fattori. La sensibilità del singolo asset al relativo fattore è espresso attraverso i famosi “beta”. La formulazione matematica è la seguente:

dove r è il rendimento del j-esimo asset; b è il “beta” del singolo fattore, RP è il premio per il rischio del fattore. Esprimere il rendimento atteso dell’asset come una funzione lineare dei beta di ogni fattore è possibile se vale la seguente relazione:

dove a risulta essere costante ed epsilon il rischio idiosincratico di ogni fattore.

Le ipotesi del modello e il pricing degli asset 

Se il problema del CAPM sono le sue ipotesi, quali saranno quelle dell’APT? Innanzitutto, ipotizziamo ancora che i mercati siano in concorrenza perfetta. Dopodiché, assumiamo che il numero di fattori di rischio sia al massimo uguale, ma mai superiore, al numero di asset. In questo modo evitiamo matrici singolari nel nostro percorso. Fondamentali sono le ipotesi sul rischio specifico dell’asset: infatti, ipotizziamo che abbia media zero e sia incorrelato con i fattori. Inoltre, ipotizziamo che i rischi idiosincratici tra fattori siano incorrelati. Cosa suggerisce, dunque, l’APT? Una volta calcolato il rendimento atteso, lo utilizziamo per prezzare l’asset. Il prezzo dell’asset dovrà essere uguale al suo prezzo atteso di fine periodo ( rispetto all’orizzonte temporale considerato) SCONTATO al tasso trovato col modello. E il ruolo dell’arbitraggio? Bene, se il prezzo trovato divergerà rispetto a quello di fine periodo sarà l’arbitraggio a riportarlo a un livello tale da rendere i due prezzi uguali.