Buoni fruttiferi di nome ma non di fatto
Rieccoci in un nuovo articolo dedicato al caos di Poste Italiane sui buoni fruttiferi postali. A spiazzare, ancora, i consumatori sono i pareri totalmente opposti tra Cassazione e ABF.
1986: emissione serie O,P dei buoni
Abbiamo già affrontato l’argomento in numerosi articoli precedenti ma rinfreschiamoci la memoria: nel 1986 vennero emesse due serie di buoni fruttiferi postali, le serie O e P. Nello stesso anno, un decreto ministeriale stabilì che fossero dimezzati gli interessi sugli stessi buoni postali. Dopo 30 anni, i consumatori hanno potuto notare questa modifica che ha suscitato non poco stupore. A questo punto, nel 2007, la Cassazione stabilì che, essendo i buoni un contratto, non potessero essere modificati in corso d’opera.
2007: i rendimenti non si cambiano
Nel 2007, perciò, viene stabilito che i rendimenti dei buoni non potessero essere modificati in corso d’opera. Tutto questo, in realtà, era già stato fatto nel 1999 quando venne abrogata la possibilità di modificare a rialzo o a ribasso i tassi dei buoni fruttiferi. Fino al 1999, infatti, vigeva il Codice Postale del 1973 per il principio di retroattività confermato col decreto del 1986. Quindi valeva la relazione “tassi a ribasso= tassi applicati”.
2018: la letteralietà non sussiste
La sentenza 4761 della Cassazione del 2018 afferma che i buoni postali (serie O,P) non sono titoli di credito ma di legittimazione. Questo implica che non sussista il principio di letteralietà in virtù del quale i rendimenti non potevano essere modificati in corso d’opera. I buoni, quindi, hanno i tassi stabiliti secondo le procedure indicate dal Codice Postale del ’73.
2019: i rendimenti possono essere modificati
Febbraio 2019, la Cassazione smentisce la sentenza del 2007. I buoni emessi nel 1986 che presentano tassi maggiori, non devono essere rimborsati secondo quei tassi ma secondo quelli del decreto ministeriale del 1986 che, di fatto, li dimezza. Questo il parere della Cassazione. Secondo l’ABF, però, sussiste ancora la possibilità di fare ricorso. Perché? Dopo il caos creato dal decreto del 1986 e dalle infinite sentenze successive, fu deciso che sulle serei “incriminate” fossero applicati dei timbri in modo da applicare i tassi dimezzati e da rendere visibile la modifica al consumatore. Forma di tutela “simpatica” da parte di Poste Italiane. se non fosse che su alcuni buoni questo timbro non sia stato apposto per “dimenticanza”.
La soluzione ” definitiva”… ad oggi.
Cosa fare? Il rimborso spetta oppure no? Quale tasso di rendimento hanno i buoni delle serie O,P del 1986? La soluzione, per ora, sembra quella di far ricorso a prescindere: il ricorso all’ABF ha un costo esiguo, quindi in soldoni tentar non nuoce. Ma la soluzione pratica esiste? Sì. Innanzitutto: controllate che l’emissione del buono sia successiva al 7/1986. Dopodiché, se il buono è della serie O, rivolgetevi all’ABF. Se il buono è della serie P, controllate che vi siano apposti il timbro “speciale” e la tabella con i rendimenti degli ultimi 30 anni ( lo strumento che Poste ha utilizzato per tutelarsi). In questo caso, probabilmente, il rimborso non vi spetterà. E se il timbro non c’è? L’ABF saprà aiutarvi. Il successo non è assicurato e non è detto che le cose non cambino ulteriormente.