Venerdì scorso Donald Trump ha riaccesso la guerra dei dazi e l’impatto sui mercati finanziari è stato impressionante. La Cina non è rimasta a guardare ma giocherà questa guerra con altri strumenti: le terre rare.
Terre rare è il nome con cui comunemente si indicano 17 elementi chimici presenti all’interno della famosa tavola periodica che tutti noi conosciamo.
Questi elementi chimici presentano particolari proprietà, come il fatto di esercitare un magnetismo resistente alle alte temperature: per questa ragione sono indispensabili nella produzione dei prodotti tecnologici: hard disk per PC, satelliti, laser, macchine fotografiche digitali, leghe per batterie, sistemi di armamento computerizzati, catalizzatori per auto, macchine a raggi x, cellulari, motori elettrici ibridi, fibre ottiche, proiettili teleguidati, radar, superconduttori, magneti, etc.
Uno dei campi in cui è più richiesto l’utilizzo di terre rare è il settore militare; le terre rare sono infatti indispensabili per la produzione delle cosiddette “armi a energia diretta”: una classe di armamenti che comprende numerosi dispositivi capaci di indirizzare sui bersagli svariate forme di energia non cinetica.
In sostanza, questi dispositivi inviano sul bersaglio radiazioni elettromagnetiche, onde acustiche, plasma a elevata energia o raggi laser. Gli effetti legati all’uso di tali armi possono essere sia letali che non letali, mentre i campi d’applicazione variano dalla difesa antiaerea alla tutela dell’ordine pubblico.
Diversamente da quanto afferma il nome queste “terre” non sono affatto rare.
La loro rarità si deve principalmente al fatto che, per ricavare questi elementi, è necessaria un’estesa attività di estrazione, con enormi costi sia in termini economici che ambientali dovuti anche alla radioattività degli scarti derivanti della loro lavorazione.
L’ampia disponibilità, i bassi costi della manodopera e la scarsa protezione ambientale hanno però di fatto consentito alla Cina di sbaragliare qualsiasi concorrenza.
La Cina, grazie a quanto appena detto, rappresenta l’85% della produzione mondiale di terre rare (circa 105.000 tonnellate all’anno).
Gli Stati Uniti si affidano alla Cina per la fornitura di oltre il 90% delle sue importazioni di terre rare mentre le importazioni del Giappone arrivano al 53%.
La Cina sta inoltre perfezionando la tecnologia delle batterie ad alte prestazioni e occupa una posizione cruciale nella catena di fornitura globale per i magneti in terre rare.
Per comprendere il significato di questi sviluppi, immagina se i paesi produttori di petrolio in Medio Oriente non solo fornissero al mondo petrolio greggio, ma mantenessero anche un quasi monopolio sulla raffinazione del petrolio e su tutti i prodotti petroliferi.
L’associazione, che rappresenta oltre 300 imprese, dalle miniere agli impianti di trasformazione, ha pubblicato una nota in cui ribadisce che l’industria delle terre rare:
L’associazione sostiene risolutamente le contro misure della nazione contro le tariffe di importazione statunitensi sui prodotti cinesi. I consumatori statunitensi dovranno sostenere i costi dei dazi imposti dagli Usa.
Intanto gli altri colossi del settore stanno cercando di potenziare la propria offerta.
Sono soprattuto due società australiane a intraprendere le azioni più forti in questo senso.
Le società sono la Lynas Corp’s (il maggior produttore al di fuori della Cina) e la Northern Minerals. La prima ha siglato un protocollo d’intesa per realizzare in Texas un impianto di lavorazione delle terre rare, che non sarà operativo prima del 2021, e, come riporta Reuters, ha risolto i problemi in Malesia, dove il Governo è pronto a estendere la licenza all’impianto di lavorazione della società australiana. In settimana la Northern Minerals, che estrae terre rare in Australia e le fa processare in Cina, ha interrotto l’accordo con la Lianyugang Zeyu e ora potrebbe portare queste lavorazioni lontano da Pechino.