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Nel 2015 usciva il libro chiamato “House of Debt”, scritto da Atif Mian, professore di Politiche pubbliche e finanza alla Princeton University, e Amir Sufi, professore di finanza alla Chicago Booth School of Business. Nel saggio, i due hanno introdotto una loro teoria della crisi: la teoria delle perdite da indebitamento.

Lo scopo dell’opera

Il libro ha l’obiettivo di analizzare la Grande Recessione, più che dall’aspetto legato alla finanza in primis, dal punto di vista macroeconomico e finanziario nel suo complesso. Vale a dire che i due economisti non ricercano le cause della crisi esclusivamente nella malagestione delle banche dei derivati tossici, ma comprendono come la recessione sia iniziata a causa di alcuni problemi strutturali dell’economia legati al debito delle famiglie.

Alla base della teoria

La teoria denominata “leveraged losses”, o in italiano “perdite da indebitamento”, si basa su un concetto fondamentale: le recessioni sono precedute da due fenomeni, ossia l’aumento del debito delle famiglie e il calo della spesa aggregata.

Il seguente grafico mostra la crescita del debito famiglie americane rispetto al reddito, fonte: marketwatch.com

Gli elementi principali

Il primo elemento base della teoria riguarda le disuguaglianze presenti nella società quando si parla di debito. I due economisti, infatti, classificano gli agenti economici nelle categorie di risparmiatori e mutuatari.

I risparmiatori sono anche i creditori dei mutuatari e utilizzano i ricavi del debito nei confronti dei secondi come mezzo per i propri investimenti o come liquidità destinata al prestito ad altri mutuatari.

Il secondo elemento riguarda invece l’accadimento uno shock nell’economia – un “Black swan” come direbbe Taleb – ovvero, in questo caso, una flessione dei prezzi immobiliari.

Il meccanismo

La diminuzione dei prezzi ha come conseguenza la concentrazione dell’erosione della ricchezza nelle famiglie più indebitate – i mutuatari più indebitati -. Questo perché sono coloro che hanno meno soldi a soffrire maggiormente un’erosione del valore del patrimonio. Ciò porta le famiglie già indebitate pesantemente coi mutui e con le carte di credito – coi risparmiatori – a diminuire i propri consumi.

Se poi si creano anche difficoltà a ripagare i mutui entrano in gioco i pignoramenti. Di conseguenza essi conducono a una maggiore contrazione dei prezzi delle case. Il problema più grande sta nel fatto che sono le famiglie con alti livelli di debito ad avere una pmc – propensione marginale al consumo – maggiore.

Consumi, disoccupazione e recessione

I due autori sostengono che la contrazione della spesa dovrebbe essere corretta dalla seguente diminuzione dei ricavi e quindi dall’abbassamento dei prezzi. Tuttavia, in una crisi, il calo dei consumi porta a un taglio del personale per far fronte alla diminuzione del costo dei beni in vendita. Il tasso di disoccupazione cresce a dismisura e ciò crea un circolo vizioso tra calo dei consumi e licenziamenti.

Il grafico mostra già come a fine 2007 il livello di disoccupazione sia abbia iniziato il suo trend rialzista, prima del crack di Lehman Brothers e l’inizio della crisi finanziaria

In sintesi, come affermano i due autori, <<il crollo del mercato immobiliare ha accentuato la disuguaglianza della ricchezza, erodendo il patrimonio dei proprietari di casa poveri e indebitati>> e <<lo shock della domanda mette in ginocchio l’economia, provocando conseguenze disastrose>>. Sono i più poveri a sostenere il peso di una recessione.