Il CDA della Banca Popolare di Bari ha approvato un piano di rilancio con l’obiettivo di restituire all’ente creditizio competitività e credibilità sul mercato. Mentre per banca Carige si è optato per un aumento di capitale da 700 milioni di euro, la strada studiata per la banca Pugliese prevede un’operazione di acquisizione e fusione di una piccola banca con l’obiettivo di beneficiare dei vantaggi fiscali previsti nel Decreto Crescita e una successiva creazione di due entità con l’obiettivo di diversificare i servizi.
Il bilancio d’esercizio approvato nel 2018 presenta un quadro allarmante e gli indicatori mostrano criticità sia dal punto di vista patrimoniale, sia dal lato finanziario.
Infatti, la banca Popolare di Bari al 31/12/2018 ha chiuso con una perdita al netto delle imposte di circa 420 milioni. Altro dato di rilievo è la riduzione del margine di interesse da circa 193 milioni del 2017 a circa 178 milioni nel 2018 e quello di intermediazione passando a 311 contro i 338 milioni del 2017. La raccolta totale è scesa a 12,96 miliardi contro i 13,79 del 2017 (-6%);il rapporto sofferenze nette/impieghi è sceso dal 5,61% del 2017 al 2,84% del 2018.
Per ciò che concerne i coefficienti patrimoniali consolidati si collocano a fine 2018 al 7,65% per quanto concerne il CET1 ratio ed il Tier One ratio e al 10,14% per il Total Capital Ratio. Detti valori risultano inferiori agli Overall Capital Requirement (OCR) ratio correnti per il Gruppo, come comunicati nel 2018 da Banca d’Italia.
L’amministratore delegato Vincenzo De Bustis illustra l’ambizioso progetto di “turnaround” della più grande banca del Sud. Un progetto che individua essenzialmente due finalità: ripristinare il valore delle azioni e progettare una nuova banca, multicanale che funga da partner di famiglie e imprese.
In primo luogo, si intende acquisire i benefici patrimoniali previsti dal decreto Crescita previsti in caso di aggregazioni tra Banche del CentroSud. Infatti, l’istituto ha individuato tre ipotesi di acquisizione, una banca e altri due veicoli strumentali, con l’obiettivo di ottenere una fusione entro fine anno. Dal computo delle “deffered tax assets” (Dta) nel patrimonio di vigilanza della banca si stima un incremento di 350 milioni. L’operazione, prevista dal decreto Crescita, consiste nella trasformazione delle imposte differite attive o attività per imposte anticipate in crediti d’imposta.
Il secondo pilastro su cui si fonda il piano è la scissione dell’istituto in due entità: la nascita di una S.p.a. a fianco della cooperativa. La cooperativa continuerà l’attuale attività di banca del territorio, mantenendo una parte degli sportelli e dell’attività tradizionale ma con maggiore slancio grazie alla ripulitura del portafoglio Npl. La nuova S.p.a sarà invece una banca multicanale con una forte vocazione di servizio con qualificati advisors sul territorio a sostegno della clientela e delle Pmi del Meridione.