Nelle ultime ore, i maggiori paesi dell’Unione Europea hanno applicato un embargo nella vendita di armi e dispositivi bellici verso la Turchia. Dopo l’offensiva militare lanciata dal governo di Ankara verso le milizie curde siriane, anche l’Italia valuta la scelta di bloccare la vendita di armamenti all’esercito di Erdogan. Vediamo, però, quanto grande è il mercato della guerra, e l’effetto economico dell’embargo.
Il settore bellico è uno dei pochi settori economici (se non addirittura l’unico) in continua crescita. Nonostante le innumerevoli restrizioni e regolamenti che ne limitano lo sviluppo, ogni anno si registrano fatturati di miliardi di dollari. I padroni assoluti del settore sono gli U.S.A., che impegnano circa il 36% dell’intero mercato bellico, con una spesa complessiva di 649 miliardi di dollari. A seguire troviamo Cina, Russia e Arabia Saudita, che negli ultimi anni hanno notevolmente accresciuto la propria spesa per la difesa. L’Europa gioca un ruolo fondamentale soprattutto in qualità di paesi esportatori. Francia, Germania, Italia e Regno Unito sono i principali. Le ultime stime attestano che il mercato delle armi genera spese complessive di 1800-2000 miliardi di dollari l’anno, pari a circa il 2% del Pil mondiale.
L’Italia è il nono paese al mondo per esportazione di armi e sistemi difensivi, preceduto da Israele e Spagna, e il ventesimo importatore. Fino al 2017, l’esportazione di armi generava introiti pari a circa 10 miliardi di euro e vantava, tra i principali partner commerciali, paesi come l’Arabia Saudita, l’Egitto, Turchia, Pakistan, India e alcuni tra i principali paesi europei facenti parte della NATO. Nel 2018, però, il governo italiano (guidato in questa manovra in particolare dal M5S) ha ridimensionato la produzione e la vendita di armamenti, stilando una relazione con le maggiori aziende nazionali come Leonardo s.p.a., R.W.M. Italia s.p.a. e M.B.D.A. Italia s.p.a.
In tale relazione veniva valutata la posizione del paese nel mercato bellico mondiale, e le principali manovre per ridurre le dimensioni del settore, in particolare cercando di limitare la vendita a paesi con situazioni politiche estremamente instabili. Le decisioni prese hanno ridotto gli introiti complessivi di quasi il 50%, totalizzando introiti complessivi pari a 5,2 miliardi di euro nel 2018. Gli obiettivi prefissati non sono ancora stati raggiunti però, come segnalato dalla Rete Italiana per il Disarmo, che ha giudicato la relazione prodotta incompleta.
Immediatamente dopo l’attacco lanciato dalla Turchia ai danni dei guerriglieri curdi in Siria, che alimenta una guerra che infuria ormai da 8 anni, diversi paesi dell’Unione europea come Paesi Bassi, Francia, Germania e Finlandia hanno imposto degli embarghi verso il paese della Mezzaluna. Negli ultimi giorni anche l’Italia sta valutando la possibilità di applicare l’embargo, con il ministro degli esteri Luigi Di Maio che conferma il volere di prendere una posizione contro Erdogan. La scelta di fermare la vendita di armi verso la Turchia potrebbe avere degli effetti collaterali sull’economia delle principali aziende nazionali produttrici di armi. Infatti il 15% delle armi vendute dall’Italia sono dirette proprio verso i Dardanelli, generando introiti complessivi pari a 360 milioni di euro, superiore a quello di tutti gli altri paesi europei (la Germania genera introiti di 243 milioni di euro per esempio). La scelta, quindi, vede contrapposti interessi economici e doveri internazionali, battaglia non con un esito non sempre certo.