La locomotiva del mondo sta rallentando. Da diversi mesi infatti, la crescita economica della Cina ha visto una notevole frenata, per molti a causa della guerra commerciale contro gli Stati Uniti del presidente Trump. In realtà i problemi economici di Pechino sono da ricercarsi all’interno del proprio sistema economico, il quale inizia a dare i primi segni di cedimento.
Dalle ultime analisi economiche condotte sulla situazione interna cinese, si è riscontrato un dato preoccupante: il debito complessivo del gigante asiatico eccede per il 300% il Pil, con un indebitamento delle famiglie pari al 100% del reddito disponibile.
Il danno è dovuto prevalentemente ad anni di interventi statali, intenti a ridare stimolo alla crescita economica quando questa dava segni di rallentamento. La situazione non è però irreversibile, infatti la Banca centrale di Pechino ha solamente posto enfasi sulla situazione attuale, senza però cedere al catastrofismo. In un momento delicato come quello attuale, però, le mosse a disposizione del Partito per limitare il rallentamento economico sono ridotte. Una modifica della politica monetaria o fiscale darebbe il via libera a bolle speculative, rischiando un incremento ulteriore del debito.
La delicata situazione in cui si trova l’economia cinese non è causata da problemi della banca centrale, bensì da quelli delle piccole banche di provincia. Si stima, infatti, che dei 4400 prestatori civili, ben 586 risultino ad alto rischio. Negli ultimi mesi, inoltre, diversi piccoli istituti bancari hanno chiuso i battenti (non un buon segno) e il governo di Xi Jinping è dovuto intervenire per salvare tre operatori finanziari, nazionalizzando la Baoshang bank (banca operante nella Mongolia centrale) e salvando Jinzhou e Hengfeng. I dati ottenuti dai controlli degli ultimi mesi possono, però, non rispecchiare le reali condizioni in cui gli istituti riversano. La mancanza di controlli efficienti esercitati dal governo hanno infatti permesso la proliferazione di comportamenti opportunistici come il caso di due correntisti, rispettivamente delle banche Henan e Liaoning, che hanno prelevato tutti i loro risparmi nel momento in cui sono venuti a conoscenza degli imminenti controlli statali.
Il presidente cinese annunciò alcuni mesi fa un piano di stabilizzazione degli istituti in difficoltà, ai quali non furono più elargiti fondi statali, ma che videro la propria salvezza attraverso strategie di ricapitalizzazioni o fusioni tra loro. Tale scelta premia sicuramente la politica stabilizzante avviata da Xi Jinping, ma penalizza fortemente le aziende private, legate a doppio filo con i finanziamenti elargiti dallo stato, senza i quali le possibilità di finanziarsi sono ridotte al minimo. I primi effetti sono stati gli aumenti dei default, arrivati a 17 miliardi di dollari. I default non hanno solo riguardato gli istituti privati, ma anche le aziende nazionali. Per la prima volta un istituto statale, il gruppo Tewoo specializzato ne trading di commodities, non sarà in grado di coprire un bond da 300 milioni di dollari, ripiegando sulla (poco onorevole) pratica dell’haircut.
Il futuro della Cina sembra più buio che mai. Solo una equilibrata strategia condotta dal Partito di Jinping potrà riportare il paese verso una stabile crescita. Ma il filo sul quale il presidente cinese deve muoversi per evitare di cadere è più instabile che mai, mosso da un vento proveniente dall’estremo occidente.