Sembra una barzelletta ma non lo è: secondo l’Ocse, siamo troppo giovani per andare in pensione.
Lo studio effettuato dall’Ocse, nella sezione relativa all’Italia, prevede alcuni punti chiave. Questi punti chiave possono essere ulteriormente riassunti nel seguente modo:
1. tra le persone sopra i 65 anni in Italia il reddito è piuttosto simile, però è più alto del 13% rispetto alla media Ocse.
2. La spesa italiana per le pensioni è la seconda più alta, raggiungendo il 16% del PIL. Prima di noi solo la Grecia con il 16.9 % del PIL speso per le pensioni. Invece la spesa media nell’area Ocse si attesta all’8.5% del PIL.
3. L’età legale per accedere alla pensione si attesta intorno ai 67 anni, 3 anni in più rispetto alla media Ocse.
Quello che, in realtà, l’Ocse ci chiede è di limitare le forme di prepensionamento che abbiamo visto negli ultimi tempi. Dalla riforma Fornero in poi, il malessere generale è sicuramente aumentato. Ci chiediamo però come si possa arrivare a un sistema pensionistico in Italia che possa conciliare le esigenze dei cittadini e che non faccia “male” ai conti pubblici. L’Ocse, quindi, osserva che in Italia l’età effettiva per raggiungere la pensione sia troppo bassa. Mentre l’età legale si attesta a 67 anni, quella effettiva si aggira intorno a 63,3 per gli uomini e 61,5 per le donne.
Uno dei grandi problemi dell’Italia che, però, è anche quello che l’Ocse ci chiede di fare meglio è il collegamento tra la speranza di vita è l’anzianità contributiva bloccata fino al 2026 a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Guardando le condizioni attuali del sistema pensionistico in Italia, continuando a legare la speranza di vita all’anzianità contributiva, ci si aspetta nel 2040 un minimo di 45 anni di contributi.
Un altro problema, forse più grande, del nostro paese sta nelle molteplici forme di prepensionamento promosse negli anni. Se, infatti, abbiamo detto che l’età legale per il pensionamento è di 67 anni, con le forme di prepensionamento proposte (come quota 100) la soglia si abbassa notevolmente giungendo a 62 anni. Tutte le varie forme di prepensionamento in Italia, hanno portato a un totale di 350 mila lavoratori in uscita nel giro di sette anni. Questo potrebbe essere un problema perché, tra questi 350 mila, sicuramente c’è qualche persona che avrebbe potuto continuare a lavorare ma, giustamente o meno, ha scelto il prepensionamento.
I danni delle forme di prepensionamento incidono anche sull’ammontare della pensione stessa. Il tasso di sostituzione in Italia, ossia la percentuale di stipendio medio accumulato per calcolare la pensione ,attualmente è al 92% contro il 59% dei paesi dell’area Ocse Abbassando l’età per l’entrata in pensione a 64, il il tasso scende bruscamente al 79%.
Questo però non è il più grande danno: questo calcolo viene fatto per i lavoratori con una carriera ininterrotta a partire dai 22 anni. Chiaramente, sappiamo che questo in Italia è più che un sogno. Nel nostro paese, è già difficile avere una carriera ininterrotta; figuriamoci avere una carriera ininterrotta a partire dai 22 anni: impossibile per un giovane che voglia quantomeno terminare un percorso di studi universitario. Pensate che un break di 5 anni incide sul reddito medio del 10% in Italia contro il 6% della media Ocse: banalmente, un italiano che non lavori per 5 anni avrà una riduzione del 10% nella sua pensione anziché del 6% come nel resto dei paesi Ocse.
Un altro dato da considerare è che dal 2022 il 95% dei lavoratori sarà costituito da lavoratori contributivi puri: questo cosa comporta? Semplicemente, l’età pensionabile sarà di 64 anni solo se l’assegno percepito sarà pari a 2.8 volte l’assegno minimo, altrimenti la pensione sarà percepita a 71 anni. Peggio di noi solo la Danimarca con una previsione di età pensionabile che si attesta ai 74 anni.