Due matematici del Complex Systems Center della University of Vermont, Chris Danforth e Peter Dodds, una decina di anni fa hanno realizzato una piattaforma battezzata “Hedonometer“, che misura l’umore collettivo negli Stati Uniti, analizzando ogni giorno oltre 100 GB di dati, corrispondenti a 50 milioni di messaggi scritti su Twitter in lingua inglese.
Dapprima vengono calcolate le frequenze di tutte le parole trovate nei messaggi. Ad ogni parola, poi, viene associato un punteggio secondo una scala di felicità a 9 punti: da 1 (triste) a 9 (felice). Infine, viene generato un punteggio complessivo di felicità, definito come la media del punteggio di tutte le parole identificate. Quello che ne viene fuori è un vero e proprio barometro della felicità.
Grazie al volume enorme di dati disponibili, è possibile esaminare il livello medio di felicità delle conversazioni relative ad un personaggio specifico o ad un argomento, evidenziare in tempo reale l’effetto di eventi politici (come l’elezione di un presidente) ed economici (come un crollo in Borsa), ma anche di disastri meteorologici e feste nazionali (giorno di Natale o San Valentino).
Ogni volta che “cinguettate” su Twitter, o caricate immagini e video su Instagram, o mettete un “like” su Facebook, o cliccate “accetta” alle svariate notifiche che vi giungono sullo smartphone, sappiate che state fornendo una quantità di informazioni su voi stessi, sulla vostra vita, sui vostri gusti, sulle vostre idee, di cui nemmeno vi accorgete.
Il progetto non avrebbe valore se si limitasse a qualche centinaio di utenti. E’ proprio il volume abbondante di dati disponibili a spiegare il successo della piattaforma, il numero enorme di cinguettii che vengono dati in pasto a degli algoritmi. “Big data” è lo slogan più utilizzato per sintetizzare la rivoluzione digitale che stiamo vivendo.