Finanza

Ponte sullo stretto e altre barzellette da raccontare agli italiani

Dopo la pubblicazione del libro del senatore Matteo Renzi, La Mossa del Cavallo, il dibattito politico italiano è tornato ad infervorarsi intorno alla madre di tutte le opere incompiute, il Ponte sullo Stretto. Questa mastodontica opera infrastrutturale è da sempre stato lo spot elettorale preferito dei politici nostrani. Di cosa si tratta e perchè bisogna tenersene lontani (per il momento).

Alcune cifre

Dagli studi e dai progetti preliminari, il ponte sarebbe costituito da una campata centrale di oltre 3000 metri, con una larghezza di oltre 60 metri. Con una carreggiata costituita da 6 corsie, tre per senso di marcia, con relative corsie di emergenza, e due binari, l’opera avrebbe la possibilità di sostenere la capacità di ben 6000 veicoli all’ora e oltre 300 treni al giorno. Lo spettacolare Stretto di Messina, sarebbe anche sovrastato da due torri di supporto alla campata centrale di oltre 400 metri di altezza.

Breve storia e costi di costruzione

Dal 1992, quando fu lanciato il progetto con relativo studio preliminare, si giunge al 2012, quando lo stesso è stato approvato dalla società Stretto di Messina, gestita dall’Anas. il costo iniziale di 6,3 miliardi, è lievitato a causa delle richieste degli enti locali di ulteriori 2,2 miliardi. Se venissero aggiunti anche i costi relativi alla fase di progettazione e agli studi preliminari, il costo complessivo dovrebbe aggirarsi intorno ai 9 miliardi.

I “nemici” dell’opera

Il Ponte sullo Stretto, a differenza di tante altre opere del piano infrastrutturale lanciato nel 2001 (nel 2013 solo l’8,3% era stato portato a compimento), sarebbe un’opera utilissima non solo per Sicilia e Calabria, ma per tutto il Sud Italia: sarebbe il motore per il tanto agognato riscatto del Meridione. Inoltre, da ottime vie di comunicazione derivano floride economie. Questo la Cina l’ha già capito da qualche anno e, con la nuova Via della Seta, va nella stessa direzione. Ma allora perchè parlare di quest’opera è ancora un tabù?

Corruzione

Appalti pubblici e infrastrutture in Italia vanno a braccetto con un fenomeno che più frena le grandi opere che il paese aspetta da venti anni: la corruzione.

Secondo il resoconto dell’ANAC del triennio 16-19 sulla corruzione in Italia,

Fra agosto 2016 e agosto 2019 sono state 117 le ordinanze di custodia cautelare per
corruzione spiccate dall’Autorità giudiziaria in Italia e correlate in qualche modo al settore degli
appalti: esemplificando è quindi possibile affermare che sono stati eseguiti arresti ogni 10 giorni
circa. Si tratta in ogni caso di una approssimazione per difetto rispetto al totale, poiché ordinanze
che ictu oculi non rientravano nel perimetro di competenza dell’Anac non sono state acquisite.

La parte più preoccupante però, non è ancora arrivata:

Dal punto di vista numerico, spicca il dato relativo alla Sicilia, dove nel triennio sono stati
registrati 28 episodi di corruzione (18,4% del totale) quasi quanti se ne sono verificati in tutte le
regioni del Nord (29 nel loro insieme). A seguire, il Lazio (con 22 casi), la Campania (20), la Puglia
(16) e la Calabria (14).
Il 74% delle vicende (113 casi) ha riguardato l’assegnazione di appalti pubblici, a conferma
della rilevanza del settore e degli interessi illeciti a esso legati per via dell’ingente volume economico

Sapere che le regioni maggiormente interessate all’opera siano in tra le prime in questo elenco non è affatto rassicurante.

Per gli autolesionisti: il costo della corruzione in italia, secondo uno studio de L’Espresso, sarebbe di ben 236 miliardi, il 13% del Pil.

La legge Spazzacorrotti va nella giusta direzione per sconfiggere questo male atavico, ma da sola non basta: urgono riforme strutturali, a partire dall’istruzione.

Burocrazia e inefficienza

Per dare contezza dell’altrettanto annoso problema dell’eccessiva burocrazia, basta fare un esempio molto calzante e adatto alla situazione: il caso del megalodotto della Statale Jonica 106, in Calabria. Come riporta il Corriere della Sera,

in 10 anni il progetto è tornato al Cipe ben 5 volte, e le decisioni del Cipe ci hanno messo 1.115 giorni per essere pubblicate in Gazzetta.

Basta consultare il seguente grafico per rendersi conto di quanto questo evento, all’apparenza isolato, è in realtà figlio di una situazione generalizzata:

Per quanto riguarda l’inefficienza, si può dire con tranquillità che gli italiani non siano dei veri e propri maestri nel rispettare le deadlines: la cartina che segue, mostra le opere incompiute al 2016. Nonostante la datazione, rispecchia abbastanza fedelmente la situazione del nostro Paese.

La penale pagata dal Governo Monti

L’ex Presidente del Consiglio Mario Monti

 Il 10 ottobre il governo Monti, nella legge di stabilità, stanziò 300 milioni per il pagamento delle penali per la non realizzazione del progetto.

Al Fondo per lo sviluppo e la coesione e’ assegnata una dotazione finanziaria aggiuntiva di 300 milioni di euro per l’anno 2013 per far fronte agli oneri derivanti dalla mancata realizzazione di interventi per i quali sussistano titoli giuridici perfezionati alla data di entrata in vigore della presente legge

Conclusioni

Parlare di Ponte dello Stretto in queste condizioni, è irrealistico. In Sicilia, per andare da Trapani a Palermo, bisogna impiegare mezza giornata. In Calabria, sono ancora in corso i lavori per l’Autostrada del Sole (lo stesso Renzi ne annunciò il completamento, ma in realtà mancavano ancora circa 100 km). E’ pensabile, parlare di un impegno così grande? E’ realistico parlarne senza assumere l’ipotesi di profonde riforme strutturali, quali sburocratizzazione e leggi anti-corruzione?

La storia ci insegna che gli italiani sono geniali: sarebbero perfettamente in grado di costruire il Ponte sullo Stretto. Tuttavia, esso sarebbe l’emblema delle contraddizioni di questo Paese, il quale si dimostrerebbe, ancora una volta, “il più a Nord dei Paesi del Sud, e il più a Sud dei Paesi del Nord”.

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Vincenzo Varamo