Home » Finanza » Le conseguenze economiche di un fallimento bancario

Articolo di Riccardo Gerratana

Negli ultimi anni abbiamo assistito a molteplici eventi di dissesto bancario, e spesso questi sono stati risolti attraverso interventi di salvataggio da parte dello Stato.
Ma perché un’azienda qualunque viene lasciata fallire mentre le banche vengono salvate?

Le motivazioni alla base dei salvataggi bancari

Vi è una ragione ben precisa per cui, quando una banca versa in brutte acque, lo Stato può decidere di intervenire e salvarne le sorti. La ragione va ricercata nelle ripercussioni che il fallimento, la liquidazione, o in termini più netti, l’uscita dal mercato di una banca, comporta per il sistema finanziario ed economico nel suo complesso.

Differenza tra banca e impresa

Una banca, a differenza di un’azienda normale, non può essere sottoposta a liquidazione ordinaria. Per le imprese normali, quando queste falliscono, si procede alla liquidazione dell’attivo e, con i fondi ricavati, si ripagano i creditori in base alla loro seniority. Per le banche ciò non è possibile in quanto, a parte il (poco) attivo liquidabile che queste hanno (titoli, immobili, ecc), la maggior parte delle attività è composta da prestiti. Liquidare l’attivo vorrebbe allora dire chiedere a tutti i debitori della banca di rimborsare immediatamente quanto dovuto (per esempio, chi si trova ad avere un mutuo di 40 anni potrebbe essere chiamato a rimborsarlo interamente e subito). Le conseguenze per il sistema economico sarebbero disastrose.

I rapporti con la clientela

Nella sua normale operatività, ogni banca intrattiene rapporti con la clientela, e in ragione di questi, poiché ogni singolo cliente effettua e riceve pagamenti verso altri soggetti a loro volta clienti in altre banche, ogni singola banca è tenuta ad avere rapporti con altre banche, per garantire il buon fine delle singole operazioni che il proprio affidato effettua.
Proprio per questa ragione, ogni banca si ritrova nella posizione di debitore/creditore verso altre banche.

La rilevanza nel sistema economico

Quando una banca assume rilevanza all’interno di un sistema economico, che esso faccia riferimento ad una determinata area geografica, una regione o un Paese, l’uscita dal mercato di questa comporta conseguenze per gran parte degli operatori economici di quell’area, che essi siano famiglie, imprese e soprattutto banche. Nel caso in cui la banca uscente dal mercato risulti essere debitore nei confronti di altre banche (e l’ipotesi è tutto tranne che inverosimile), l’effetto che ne scaturisce determina perdite per altre banche, che si ritroverebbero quindi coinvolte in una crisi che potrebbe facilmente assumere rilevanza sistemica, così come dimostra la crisi finanziaria nata con il fallimento di Lehman Brother’s nel settembre 2008.

I salvataggi

La crisi di un’impresa non è mai una buona notizia per la stabilità di un sistema economico o finanziario, ma se dalle sorti di quest’impresa (in questo caso la banca) dipendono le sorti di tante altre imprese, non è difficile capire per quale ragione lo Stato decide di intervenire.

Nel momento in cui uno Stato interviene a salvataggio di una banca che necessita di risorse bisogna tenere in considerazione gli effetti negativi che questo comporta, tra cui, oltre al costo in termini economici sostenuto dalle casse dello Stato, e quindi dai contribuenti, il generale malcontento dell’opinione pubblica e il cosiddetto “moral hazard”, ovvero un fenomeno che ha luogo nel momento in cui il management della banca adotta posizioni volutamente rischiose, che potrebbero determinare l’evento “default”. In parole povere, se nel sistema bancario si diffondesse l’idea che qualsiasi banca in difficoltà verrebbe salvata dallo Stato, le banche potrebbero incrementare il loro profilo di rischio per ottenere maggiori rendimenti per i propri azionisti, giovando del fatto che, nel caso in cui le cose andassero male, le perdite sarebbero risanate con risorse pubbliche.

Ma se la banca beneficia di questo “trattamento di favore”, per quale motivo dovrebbe fare attenzione ai rischi che si assume?

Negli accordi sulla regolamentazione del capitale delle banche, redatti dal “Basel Committee on Banking Supervision” (BCBS), che in estrema sintesi impongono alle banche di dotarsi di un ammontare minimo di fondi propri a fronte della loro operatività, vengono definite anche delle modalità per evitare che il costo delle crisi bancarie non gravi sulla collettività: con Basilea 3 (la revisione degli accordi che il BCBS ha attuato come risposta alla crisi finanziaria iniziata nel 2007/2008) viene introdotto, tra gli altri meccanismi di risoluzione delle crisi bancarie, il salvataggio interno (bail-in), che si contrappone al salvataggio esterno (bail-out).

In sostanza, con il meccanismo del bail-in, vengono definiti dei cambiamenti radicali nella composizione delle fonti di finanziamento delle banche, che devono adesso dotarsi di un ammontare minimo di passività (debiti, per farla molto breve), che possono “assorbire” le perdite nel caso in cui questo fosse necessario.

Il costo per gli azionisti

Con queste novità introdotte con Basilea 3, i costi dei salvataggi bancari ricadono prima di tutto sugli azionisti della banca, poi sui sottoscrittori di altri strumenti computabili nei fondi propri, e in ultima battuta sui creditori ordinari della banca. Soltanto qualora tali risorse non siano sufficienti può entrare in gioco lo Stato attraverso interventi con risorse pubbliche.

L’azzardo morale viene quindi mitigato dalla presenza di vincoli sul capitale regolamentare e dalle modalità introdotte da Basilea 3 attraverso cui vengono risolte le crisi bancarie, tra cui il meccanismo del salvataggio interno (bail-in).