Dopo le discussioni di questi giorni sulla realizzazione di una rete unica in Italia, è giusto fermarsi e fare chiarezza: a che punto è la banda ultra larga nel nostro paese? In cosa consiste l’iniziativa del governo, Tim e Cassa depositi e prestiti per la realizzazione di una grande rete unica? Analizziamo nel dettaglio la situazione.
Come anticipato in articolo di qualche mese fa, in Italia l’accesso ad una buona connessione ad internet non è qualcosa di così scontato. Solo il 22% degli italiani può infatti accedere alla bada ultra larga, vale a dire ad una connessione superiore ai 30 Mbps.
Ma si tratta di una situazione generale o esclusivamente italiana? Il grafico seguente è molto esplicativo in tal senso:
Il grafico de Il Sole 24 Ore ci fa notare quanto l’Italia sia indietro con la BUL. E’ un dato allarmante, visto che da un rapporto dell’Unione Europea risulta che:
ad un 10% di penetrazione della banda ultra larga corrisponde un punto e mezzo di PIL
Questo perché ormai tutto è connesso all’utilizzo di internet: dall’istruzione al lavoro, passando per la medicina, il commercio e l’ormai attuale ‘internet of things’. Insomma, senza quest’importante infrastruttura non può esserci sviluppo nel presente e nel futuro.
Per accelerare sulle cosiddette aree bianche, già nel 206 il governo Renzi aveva promosso la creazione di un’azienda, Open Fiber, partecipata al 50% da Cdp e al 50% da Enel. Grazie a questa operazione, non solo sono iniziati numerosi cantieri all’interno della penisola, ma è anche stata inserita concorrenza all’interno di un settore, le tlc, all’interno del quale Tim la faceva da padrone. Grazie a questa molla anche Tim iniziò a coprire le aree bianche, cosa che in precedenza non aveva in progetto.
La situazione odierna ci restituisce dunque un’infrastruttura (incompleta) in mano a Tim, Open Fiber e altri pochi partner:
Erano i primi di Agosto quando il cda di Tim al completo stava decidendo sull’entrata del fondo americano Kkr in Fibercop. All’improvviso la telefonata. Secondo alcune indiscrezioni dal premier Conte in persona. Nella conversazione con l’ad di Tim, Luigi Gubitosi, il primo ministro ha spiegato la volontà da parte del governo di creare una rete unica e quindi di sospendere l’operazione con Kkr fino al prossimo cda. La dirigenza Tim ha capito subito: in ballo c’è qualcosa di grosso. Nelle intenzioni del governo infatti, c’è la voglia di creare una società per la realizzazione della rete unica in Italia e di farlo il prima possibile, in modo tale da colmare il digital divide con il resto d’Europa e presentarsi a Bruxelles con i compiti ben fatti a casa. L’accordo che piace alla maggioranza di governo, ma anche a larghe fasce dell’opposizione come Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, prevede la creazione di una società-minestrone, FiberCop. All’interno di essa dovrebbero confluire:
All’interno di questa lista di società, la presenza di Kkr e di Open Fiber sono significative. La presenza del fondo statunitense ribadisce la vocazione filo atlantica del Belpaese contro l’espansione cinese all’interno delle tlc. La presenza di Open Fiber è rilevante perchè fa entrare nella partita Cdp e Enel.
Cassa depositi e prestiti, l’organo esecutivo dell’imprenditorialità sempre più evidente dello Stato, soprattutto dopo il lockdown, è presente sia in Tim sia in Open Fiber. In Tim è il principale azionista con il 10% e in Open Fiber divide il controllo con Enel essendo presente al 50%, come riportato sopra. Far confluire Tim e Open Fiber in un’unica società per il controllo della rete unica permetterebbe quindi allo Stato di garantirsi una certa rappresentatività all’interno del board di FiberCop.
Le intenzioni dello Stato, grande marionettista dell’accordo, sono molteplici:
Dopo aver raggiunto l’accordo, lo scontro si sposta sulla governance della nuova società e quindi della gestione della rete unica. Le opzioni in campo sono molteplici.
Gubitosi, Ad di Tim, in un’intervista a Repubblica, ribadisce
la sua posizione contraria a cedere la maggioranza dell’eventuale rete unica ma disponibile a trattarne tutte le condizioni di governance, tenendo conto degli indirizzi di governo
La proposta non piace tuttavia a agli altri protagonisti della vicenda. Viene bacchettato dal governo tramite le parole di Stefano Buffagni, viceministro allo sviluppo economico, che in un intervista sempre a La Repubblica risponde:
Gubitosi sbaglia. Al Paese occorre una rete unica, che non sia controllata da TIM […]. Secondo noi e non solo sotto un profilo regolatorio ed antitrust, una società della rete unica che fornisca servizi di accesso all’ingrosso a tutti gli operatori non può essere in mano a un azionista di maggioranza verticalmente integrato, con in più il beneficio del consolidamento. Su quella rete oggi passano i nostri dati piu’ sensibili e la competitività delle nostre aziende
Da Open Fiber espone la sua idea il presidente Franco Bassanini:
Occorre innanzitutto togliere dal tavolo l’ipotesi di un ritorno al monopolio TIM [..]. L’operazione dovrebbe portare alla creazione di una società “neutrale” e “non integrata verticalmente”, dove la rete è separata dai servizi. Altrimenti si creerebbero problemi antitrust
Enel resta alla finestra: è l’unica compagine importante all’interno della trattativa a non aver ancora espresso la sua posizione con nettezza.
La soluzione che si profila è quella spiegata in modo molto chiaro dal Sole 24 ore e che riassume le parole del viceministro e di Bassanini:
La soluzione al vaglio riguarda la possibilità di lasciare a Tim il 50,1% (e quindi la maggioranza) della newco, ma di stabilire una governance “terza” per quest’ultima, in quanto Tim è integrata verticalmente all’interno del settore
Il problema della governance deve convincere anche le autorità antitrust del settore (Agcom per l’Italia e Berec per l’UE). Ragion per cui:
La governance sarà condivisa, lasciando poteri a tutti i soci, a partire da Cdp. Per le decisioni strategiche, rimanendo Tim un operatore verticalmente integrato, lo statuto della newco prevederà maggioranze qualificate
In questo modo si dovrebbero rispettare tutti i limiti imposti dall’antitrust, che a quel punto benedirebbe l’operazione.