Doccia fredda per Poste Italiane. L’AGCOM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) ha deliberato che la società deve pagare una multa salatissima, il massimo dell’importo imponibile per legge. Secondo l’antitrust, infatti, Poste avrebbe danneggiato non solo i consumatori, ma anche il sistema giudiziario italiano. Analizziamo la vicenda e scopriamo il perchè.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha irrogato a Poste Italiane una sanzione di 5 milioni di euro, il massimo consentito dalla legge, per aver adottato una pratica commerciale scorretta in violazione del Codice del Consumo, consistente nella promozione, risultata ingannevole, di caratteristiche del servizio di recapito delle raccomandate e del servizio di Ritiro Digitale delle raccomandate
Si apre con queste tanto poche quanto chiarificatrici righe il comunicato stampa dell’AGCOM. Nel documento rilasciato a valle del comunicato, si legge che Poste Italiane ha fatto uso di claim quali
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In pratica l’antitrust, dietro le segnalazioni di molti utenti, ha multato Poste in quanto ha pubblicizzato dei servizi che poi non ha espletato in modo adeguato. Nonostante in molti casi sarebbe stato possibile consegnare fisicamente la raccomandata, Poste ha preferito usare lo strumento dell’avviso di giacenza nella casella postale. Questa pratica ha portato numerosi problemi a soggetti con handicap e in generale a tutti quei consumatori che non potevano effettuare spostamenti durante il lockdown.
Nono solo i consumatori: secondo la delibera dell’AGCOM, Poste avrebbe danneggiato anche il sistema giudiziario italiano
per i ritardi dovuti ad errate notifiche nell’espletamento dei processi, soprattutto quelli penali, con conseguente prescrizione di numerosi reati, come più volte affermato nelle Relazioni Annuali sullo stato della giustizia citate nel provvedimento.
Come se non bastasse, l’antitrust ha segnalato una serie di omissis riguardanti il servizio di Ritiro raccomandate digitale. Poste non avrebbe chiarito che il servizio vale solo “per gli invii originati digitalmente”.
Nonostante Poste abbia avanzato numerose argomentazioni in difesa del proprio servizio, l’antitrust non ha fatto sconti. Il valore pecuniario imponibile per questo tipo di reati è compreso tra i 5 mila e i 5 milioni di euro. L’AGCOM ha esagerato, irrogando a Poste il massimo importo imponibile, corrispondente a 5 milioni di euro. Nonostante la cifra sembri elevata, come si legge nel comunicato stampa:
non risulta deterrente in rapporto al fatturato specifico di Poste Italiane nel 2019 pari a 3,492 miliardi di euro.
Ma sarà davvero così? Analizziamo il bilancio di Poste:
Nell’immagine sopra riportata si può mettere a confronto il bilancio dei primi sei mesi di attività di poste nel 2019 e nel 2020. Due particolari attirano l’attenzione. In primo luogo, l’utile d’esercizio nel primo semestre è diminuito di oltre 200 milioni rispetto all’anno precedente, a causa della crisi generale causata dall’epidemia. In secondo luogo, si può notare come, all’interno del documento, non sia stata valutata la gestione straordinaria d’esercizio. La multa dell’antitrust andrebbe a collocarsi all’interno di quest’ultima area extra-caratteristica, andando a diminuire ulteriormente l’utile. Non si tratta di una perdita in grado di danneggiare in modo irreparabile la società, ma si inserisce in un contesto difficile per ogni azienda.
L’eco del comunicato AGCOM giunge a Piazza Affari, dove il titolo apre la sessione con un candelone rosso ribassista che fa perdere al titolo l’1% in pochi minuti. Dopo aver corretto la discesa con un piccolo rialzo, si è verificato un nuovo ribasso, che ha portato la quotazione sotto i 7,925. Sul finire della sessione il titolo ha lateralizzato stabilizzandosi a ridosso di questi livelli di prezzo.
Poste ha fatto ricorso al Tar per la sentenza dell’antitrust: nonostante la vicenda sembrava essersi conclusa con la sentenza dell’AGCOM, sembra che la parola fine non è ancora stata scritta.