Come per la maggior parte dei settori indeboliti dalla sterzata economica che ha investito tutto il mondo, moltissime sono le realtà non ancora ripresesi dalla spiacevole piega che ha preso questo 2020 e che tutt’ora spezza l’opinione pubblica in merito ai molteplici provvedimenti adottati dalle istituzioni per adeguarsi a un cambiamento imprevedibile. Come contrappasso, nelle prime fasi di quest’anno, le imprese hanno dovuto attutire il colpo inferto dalle evidenti oscillazioni economiche e si sono rimboccate le maniche adeguandosi, spesso rinnovando la struttura interna o concentrando la produzione verso altri beni e servizi.
Le società di Venture Capital, all’alba di questo drastico 2020, hanno inevitabilmente modificato il loro modello di business e i loro parametri di valutazione, indirizzando il loro becco verso altri lidi e concentrando il loro interesse verso quelle realtà imprenditoriali che non hanno necessità di spostare capitale umano o merci.
Chi invece resiste è proprio il settore high-tech e delle telecomunicazioni, senza dover sottolineare il predominio di Internet, che cattura ogni anno milioni di nuovi e vecchi imprenditori. Migliaia di nuove aziende nascono sul web e molte altre radicate sul territorio aprono le porte al digitale, cercando sempre di ottenere maggiore vantaggio competitivo espandendo la fetta di mercato da loro raggiungibile.
Nel momento storico da noi vissuto, l’incertezza del futuro frena necessariamente anche i settori portatori di sviluppo e chi soprattutto cerca di fare dell’innovazione e della creatività una fonte di guadagno alternativa, come le società di Venture Capital.
Il venture capital è una forma di investimento della durata in genere compresa dai 3 ai 5 anni o più e che prevede il finanziamento, generalmente da parte di fondi d’investimento,di imprese non ancora nate o in fase di sviluppo e che presentano un alto potenziale di crescita prospettato nel futuro. Sottospecie del più ampliato mercato del Private Equity, il fine ultimo, oltre al supportare nuove realtà in fase di avvio, è quello di ottenere una remunerazione dall’eventuale vendite delle azioni partecipative quando la società in questione prende la giusta direzione o dall’eventuale ritorno derivante dalle quotazioni in borsa. All’apporto prettamente finanziario, è molto spesso affiancato un contributo direzionale e consultivo dei venture capitalist, che cercano di apportare migliorie date dall’esperienza dei singoli o nuovi spunti di riflessione. La valutazione dell’operazione è attorniata dal rischio, che rappresenta la principale incognita per tali fondi e sulla quale gli stessi vanno imperterriti a ricercare la “milestone”.
Secondo L’AIFI – Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt – nel 2019 sono stati raccolti, tra private equity e venture capital, circa 1.591 milioni di euro, di cui 1.566 milioni di euro reperiti sul mercato; dato interessante, in quanto il trend nel 2018 confermava un valore pari a 3.454 milioni, quindi il doppio rispetto all’anno successivo; mentre l’ammontare investito è pari a 7.223 milioni di euro, in diminuzione del 26% rispetto all’anno precedente, con 9.788 milioni di euro.
L’Italia si conferma in ritardo anche in questo versante, riflettendo la scarsità di capitali scambiati tra i paesi dell’Unione Europea e la difficoltà nel rimanere in pari con i paesi orbitanti e le nazioni extra-Ue.
Nel primo semestre 2020 il mercato del venture capital colpito dalla morsa del Covid-19, conclude con un totale investito pari a 217 milioni di euro in operazioni, il 30% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Considerando che i maggiori fondi d’investimento mondiali hanno deciso negli ultimi due trimestri di apportare capitale di rischio in quei settori unicamente focalizzati nello sviluppo ICT e nel digital development, non è lecito pensare che un cambio di tendenza possa avvenire nel breve periodo.
Spostando lo sguardo all’estero, Peter Thiel, giusto per menzionare il co-founder di Paypal, ha recentemente guadagnato 278 milioni dalla vendita delle azioni possedute dalla neo quotata in borsa Palantir, società appartenente al fondo da lui istituito, Founders Fund.
Forte notizia in controtendenza è quella che vede protagonista Piëch Automotive , società produttrice di auto elettriche creata nel 2017, fondata e inglobata da diversi anni proprio dal fondo di Thiel con un’operazione che ispira una ventata di fiducia per il mercato.
In vista del vertice di governo del 12 Ottobre e con l’approvazione del Nadef 2020, il governo italiano in concomitanza con il MEF, pensa ad un piano di ripresa che, nel lungo periodo, possa fagocitare le imprese ad investire in R&S e che l’attrazione di nuovi investimenti dall’estero non venga inibita dall’imprevedibilità che è quasi sinonimo di normalità ai giorni nostri.