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Smartphones zombie: sarà la finanza a salvarci dagli e-waste?

Moriremo sepolti dagli smartphones? Quale è il loro impatto sull’ambiente? Come fare per smaltirli correttamente? Come può aiutare la finanza nel processo di transizione verso la piena sostenibilità ambientale?

La situazione

Dalla grafica seguente, elaborata dal sito Plugg, si può notare l’evoluzione delle vendite degli smartphones dal 1997, divise per casa produttrice:

Dalla grafica si apprende che il numero di aziende coinvolte nella vendite di smartphones e altri dispositivi sia aumentato nel tempo. Ciò rappresenta il fatto che il mercato è stato in costante crescita nel tempo, e ha visto cadere giganti del settore come Nokia e innalzare mostri sacri come Apple. Tuttavia, l’altro dato che salta all’occhio è l’enorme numero di dispositivi venduti.

Infatti, secondo un’inchiesta condotta da Greenpeace nel 2017,

 Nel mondo, fra il 2007 e il 2017 sono stati prodotti nel mondo 7 miliardi di smartphone. Secondo l’agenzia Onu delle telecomunicazioni, la quantità di rifiuti elettronici prodotta a livello globale nel 2016 è stata di 44, 7 milioni di tonnellate: come il peso di 22 milioni di auto. Il dato comprende anche i grossi elettrodomestici

Mercato degli smartphone

Il numero di smartphones messi in circolazione sono una quantità simile al numero di persone sulla terra! E quando uno smartphone si rompe? Si getta, naturalmente, così come tutti gli altri dispositivi elettronici. Ma quanti sono? Per dare un’idea migliore delle proporzioni del problema, Greenpeace ha elaborato il seguente grafico:

Si è calcolato che i rifiuti elettronici generati ogni anno, sono in grado di ricoprire l’intera Hong Kong!

In quella che ormai si accinge a diventare l’epoca della green economy e dell’economia circolare, questo dato non può non far sorgere interrogativi: Quanto “costa” dal punto di vista ambientale, costruire uno smartphones? A quanto ammonta l’inquinamento prodotto dall’intera supply chain? E soprattutto, quanto costa smaltire uno smartphone?

Tutto l’inquinamento causato dagli smartphones

Nel grafico a torta che segue, Greenpeace ha indicato come si divide la produzione di gas serra nelle varie aree della supply chain:

Alla grande quantità di inquinamento, non corrisponde una stretta alla produzione, che anzi aumenta e si adatta:

Questo costante turnover di smartphone e altri dispositivi è sempre più guidato da un design del prodotto non sostenibile. Di fronte alla crescente saturazione del mercato in alcuni paesi, le aziende progettano sempre più i loro dispositivi in ​​modo da ridurre la loro durata, rendendo difficili, se non impossibili, le riparazioni o la manutenzione del dispositivo. Di conseguenza, la durata prevista dei prodotti si riduce in modo significativo e tutta l’energia, le risorse e lo sforzo umano spesi per rendere ogni dispositivo vengono sprecati una volta che il dispositivo è danneggiato, necessita di una nuova batteria o l’utente supera la capacità di archiviazione del dispositivo.

Le aziende dunque diminuiscono la qualità del loro prodotto in modo tale da aumentare più frequentemente la domanda di nuovi dispositivi. Ma dove finiscono i rifiuti?

La destinazione degli e-waste

In Italia,  ai sensi del D.Lgs 151/05 e 65/2010, gli smartphones sono classificati come RAEE. Quando un consumatore decide di acquistare un nuovo smartphone deve chiedersi cosa farne con il vecchio. A questo punto si aprono due strade. Se il dispositivo è semplicemente vecchio, deve essere consegnato al rivenditore, il quale provvederà a contattare i soggetti che si occupano del loro smaltimento. Se il dispositivo è invece rotto, si possono avviare una serie di procedure per poterlo riciclare.

Secondo un’inchiesta condotta da Ecodom, il principale consorzio italiano per lo smaltimento di rifiuti elettronici:

Il 73 per cento degli italiani ignora che può consegnare il vecchio cellulare e cose simili nei grandi esercizi commerciali che li vendono, perché siano avviate allo smaltimento. Non importa se non lo si è comprato lì. Non c’è niente da pagare o da acquistare in cambio: lo dice il decreto «Uno contro zero» del Ministero dell’Ambiente

Anche se il numero di rifiuti elettronici all’interno degli e-waste correttamente smaltiti sono in costante crescita, quest’ultima è troppo lenta. Dove finiscono gli altri dispositivi? E’ il Corriere della Sera a risponderci:

La maggior parte di questi rifiuti, prodotti nei Paesi più ricchi, viene inviato in discariche e impianti di trattamento nei Paesi in via di sviluppo, come l’India o la Nigeria, dove la legislazione è più blanda

Tutto ciò non fa altro che aumentare l’enorme problema dell’inquinamento prodotto dagli e-waste. Quali soluzioni?

Il riuso è davvero utile?

Il valore sociale del riuso dei dispositivi danneggiati o semplicemente obsoleti è indiscusso. Tuttavia vale sempre il celebre proverbio “il troppo stroppia“.

Sul sito web “Di mano in mano” viene predicato il riuso non solo come attività sociale, ma anche e soprattutto come il motore per la creazione di un nuovo mondo.

Solo un sistema economico finanziario finalizzato a ridurre al minimo il consumo di risorse e la produzione di rifiuti, che riduce gli sprechi, aumenta la durata di vita degli oggetti e ricicla le materie prime contenute in quelli dismessi, utilizza le innovazioni tecnologiche per attenuare al minimo l’impatto ambientale dei processi produttivi e non per aumentare la produttività, sviluppa al massimo l’auto-produzione di beni, le filiere corte, gli scambi non mercantili, in una parola, solo un’economia della decrescita ha una potenzialità di futuro in grado di invertire la tendenza autodistruttiva insite nell’attuale uso della razionalità per un fine irrazionale

La decrescita felice insomma è la soluzione a tutti i mali del mondo. Ma cosa ne sarebbe dell’economia mondiale in una simile visione? Semplice: con una moria di aziende e una disoccupazione cavalcante. Dunque la vera sfida non è smettere di produrre, ma farlo in modo sostenibile. Realizzare un modello di azienda a zero emissioni deve essere l’obiettivo della ricerca. E alcuni risultati sono stati raggiunti. Vediamo il caso Apple

Il caso Apple

Apple è un’azienda modello in sostenibilità ambientale. Come si può notare dalla grafica seguente, elaborata da Greenpeace, nel 2017 era al secondo posto per il rispetto dell’ambiente tra le aziende tecnologiche:

Le aziende inserite nella parte bassa della classifica sono addirittura state definite come “terroriste ambientali”. Queste ricerche sono importanti per instillare, all’interno del consumatore, una coscienza critica al momento dell’acquisto.

Nonostante le grandi performance, Apple ha dichiarato che diventerà carbon negative entro il 2030.

Piano carbon negative di Apple

Il piano di Apple è molto ambizioso. Per raggiugere questo obiettivo l’azienda lavorerà per rendere pienamente sostenibili le attività produttive. Inoltre, per compensare le emissioni prodotte da altre aree della supply chain, si impegnerà in attività benefiche per l’ambiente. Tra le iniziative già implementate:

  • Utilizzare fonti rinnovabili ed invogliare i fornitori a fare altrettanto
  • Riciclare materiali costosi da produrre e da estrarre, come terre rare, alluminio, rame e oro
  • Aumentare la qualità dei dispositivi

Alcune soluzioni

La situazione, dopo aver analizzato i dati, sembra abbastanza preoccupante e necessita di una soluzione. Una di queste è la concorrenza tra le imprese. Se un azienda leader del settore (come Apple) si fissa un obiettivo ambizioso come quello di diventare carbon negative, le altre aziende, per stare al passo e acchiappare la propria fetta di vendite, faranno altrettanto. In questo modo si moltiplicano gli effetti benefici per l’ambiente. Ma come far scattare questo meccanismo? Come orientare il mercato?

Ci sono molte ipotesi possibili. Una di queste è quella di una legge ad hoc per gli e-waste. Incaricando dei costi le aziende produttrici, ci sarebbe inizialmente un aumento generale del prodotto per il consumatore, ma se si innescherà il meccanismo della concorrenza, con il tempo i prezzi scenderanno. Tuttavia questa ipotesi presenta dei limiti. La crisi causata dal Covid ha colpito anche il settore degli smartphones e le aziende produttrici. Incaricare le aziende di altri costi in un momento così delicato non sembra la soluzione ottimale. Inoltre la legislazione, affinche sia efficace, deve essere comune a tutti i paesi del mondo, altrimenti saranno sempre pronte le scorciatoie a basso prezzo per lo smaltimento dei rifiuti elettronici.

Un’alternativa importante è l’accesso ai finanziamenti europei, come il programma LIFE, che si impegna a promuovere le iniziative, i progetti e le idee volti a trovare delle soluzioni green. Tuttavia nessuna dei grandi produttori di smartphones ha fatto richiesta di finanziamenti, che comunque funzionano in modo efficiente e contribuiscono a creare delle splendide realtà, anche italiane.

La finanza salverà il mondo?

“L’ancella della crescita” come la definisce Paolo Savona, ha il potere di salvare il mondo dagli e-waste? Forse si. In primo luogo, si ha un importante strumento come i fondi ESG (Environment, Social and Governance), vale a dire i fondi che investono responsabilmente, facendo attenzione soprattutto alla sostenibilità ambientale. Come riporta il Sole 24 Ore

Tra il 2012 e il 2018, il valore delle attività gestite da fondi comuni “responsabili” europei è raddoppiato, passando da 250 a 500 miliardi di euro

Un altro importante strumento è rappresentato dai Green Bonds:

titoli di debito i cui proventi sono utilizzati per finanziare attività “verdi”, come la ricerca e sviluppo di fonti di energia rinnovabile o di innovazioni che consentano di consumare meno energia: tra il 2014 e il 2019, le emissioni di green bonds a livello mondiale sono quintuplicate, passando da meno di 50 miliardi di dollari a oltre 250

Per questi ultimi la domanda è addirittura superiore all’offerta, tanto che le emissioni riescono a stento a far fronte alla richiesta del mercato. Gli investitori amano questi titoli perchè non solo riescono ad eseguire degli investimenti responsabili, ma anche con un basso rischio ed un buon rendimento!

Ancora una volta, Apple è tra i primi in questo campo. In tre anni ha emesso Green Bonds che hanno fruttato la raccolta di 2,5 miliardi di dollari dal mercato. Inoltre, i proventi dei titoli vengono completamente reinvestiti in attività sostenibili, come dimostra la seguente immagine:

Cosa ci dicono questi dati? Nel mare del mercato, c’è una forte domanda di Green Bonds, agli investitori piacciono, li cercano! Prediligendo i bonds di un’impresa green piuttosto che quelli di una inquinante, la finanza ha il potere di muovere il mercato. Tutto dipende da quanto vigorosamente riesce a farlo. Se la spinta non sarà sufficiente, allora si renderà necessario un deciso intervento legislativo.

In ogni caso, tutte le ipotesi illustrate fino ad ora, devono avere come base un’educazione di massa e un’operazione di sensibilizzazione verso i temi ambientali, formando dei consumatori consapevoli.