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Sud Italia e Questione Meridionale: l’evoluzione storica dal 1861

La storia del sud Italia, intesa come processo coniugato di trasformazione sociale, politica ed economica, non sempre è andata di pari passo con il contesto nazionale, subendo profondi cambiamenti man mano che diversi attori vi entravano in contatto. La chiave di volta per un’analisi iniziale, tra le molteplici a disposizione, potrebbe riguardare il nostro retaggio storico. Ma torniamo indietro di 159 anni…

Unità d’Italia e prima visione di insieme

L’unità d’Italia ha sancito l’inizio di una nuova epoca, almeno a livello simbolico. Prima di quest’ultima e secondo diverse correnti storiografiche, era palese il gap strutturale e di sviluppo economico-sociale tra nord e sud Italia.

Le regioni settentrionali erano dotate di ampi poli industriali capaci di sfruttare le risorse naturali e di un efficiente rete di comunicazione con i paesi esteri, il cui esempio più conclamato era il Triangolo Industriale, l’area compresa tra le città di Torino Milano e Genoa.

Le regioni del sud, in controtendenza, peccavano di centri industrializzati e le attività più redditizie dipendevano dalla coltura e gestione dei latifondi; a ciò bisogna aggiungere il basso costo del lavoro, le poche industrie mal localizzate e la carenza di materie prime e semilavorati. I gap salariali riflettevano le condizioni di vita della popolazione e l’evidente differenza infrastrutturale dei territori: in tal senso ha inciso negativamente anche l’operato della gestione borbonica, in un contesto di rivolte locali e malcontento sociale.

Altre correnti difendono la versione di un sud più progredito, il cui fiore all’occhiello risiedeva nelle banche fiorenti come il Banco Di Sicilia e la Banca Di Napoli e in una base commerciale solida.

Fine XIX secolo e primi interventi mirati allo sviluppo regionale

I primi interventi volti a uniformare le diverse aree della neonata Italia e che intendevano dare nuova vita alle aree più depresse della penisola, arrivarono dalla Destra Storica. Anche se nel Meridione fu costruita la prima ferrovia italiana (la Napoli Portici del 1839), nell’ultima parte del secolo il divario infrastrutturale tra Nord e Sud era assai evidente. Le possenti ondate migratorie verso il Settentrione diedero il primo input per una riforma sociale.

Salvatore Fergola – Inaugurazione della ferrovia Napoli-Portici. Caserta Palazzo Reale, Quadreria

Nel 1877 gli esponenti della Destra storica Leopoldo Franchetti e Sydney Sonnino pubblicarono Inchiesta in Sicilia, una disanima che metteva in evidenza la durezza delle condizioni di vita della popolazione meridionale.

La prima vera legge d’aiuti per il sud, ideata da Nitti, aveva come obiettivo la realizzazione di un piano di industrializzazione pianificato. Esso riguardava la concessione di materie prime e sussidi garantiti alle aziende, e la localizzazione di nuovi poli industriali (come i primi stabilimenti a Bagnoli).

Parlando di istruzione, la legge Orlando e la Daneo-Credaro del 1911, posero le prime fondamenta alla nostra attuale istruzione pubblica, rendendo statale la scuola elementare e provvedendo al pagamento dei salari ai docenti.

Guerre Mondiali e Fascismo

L’avvento del fascismo e della prima guerra mondiale frenarono lo sviluppo industriale nel sud Italia, inerme di fronte alla concentrazione delle attività fasciste nel centro-nord della penisola. Fino al ’45, i provvedimenti infrastrutturali riguardarono la costruzione di strade ed edifici, ma per lo sviluppo territoriale ed economico bisogna aspettare gli anni’ 50.

Gli Alleati percorrono le strade del centro di Catania, Sicilia.

Vince la Repubblica e…

Iniziarono ad avviarsi i primi processi di ricostruzione su tutto il territorio italiano. Le precedenti volontà di alfabetizzazione e creazione di capitale umano, si concretizzarono nell’edificazione di scuole; furono lanciate le prime iniziative di raccordo territoriale per la realizzazione di reti di trasporto nazionali ed infrastrutture migliori; vennero mossi i primi passi per la costruzione di un mercato comunitario e vennero firmati dall’Italia i primi importanti trattati internazionali.

Nei primi anni ‘50 viene avviata la Riforma Agraria, il cui punto di forza consisteva nella distribuzione gratuita delle terre coltivabili ai braccianti agricoli. In questo modo si andò a favorire l’impreditorialità locale e l’espansione delle attività che godevano di un modesto bacino produttivo.

Anni 50-80

Nel 1950 nasce la Cassa per il Mezzogiorno (CasMez), ente pubblico fondato dal sesto governo De Gasperi. L’obiettivo era di realizzare un piano di sviluppo economico indirizzato al Mezzogiorno, realizzando:

  • Condutture idriche nei centri abitati;
  • Strade;
  • Ferrovie;
  • Filiere produttive in ambito petrolchimico e siderurgico;

Bisognerà però aspettare la metà degli anni ’60 per iniziare a parlare di Miracolo italiano, prospero periodo storico costituito da un forte aumento delle esportazioni, dal miglioramento della qualità della vita e da politiche volte alla realizzazione di stabili rapporti con i mercati esteri.

La concessione di finanziamenti ai privati rese possibile la nascita di poli industriali a Montecatini, Gela e Priolo. In questi luoghi la lavorazione dell’etilene dava la possibilità d’improvvisare un nuovo mercato. Tuttavia, la mancanza di una rete di comunicazione efficiente tra settori complementari, il grosso peso del costo dei trasporti e l’isolata localizzazione delle attività, rallentava le possibilità di sviluppo industriale autonomo.

Si ravvisò un grande aumento dell’occupazione nel settore pubblico e nel privato. Ciò comportò un conseguente aumento dei livelli di spesa e consumo familiare, oltre che un maggiore indice di benessere. La palla passò dieci anni più tardi alle regioni che, in concomitanza con la nascita del Ministero delle Partecipazioni Statali, pretesero maggiore influenza.

Il PIL pro capite del Sud rispetto a quello del Nord, 1861-2004 (A. Lepore)

Gli anni che vanno dal  ’70 ai primi ’90 videro consolidarsi le politiche di sviluppo economico nel Bel Paese. Tra queste anche gli interventi statali di natura fiscale condotti dalla CasMez (attualmente Agenzia per il Sud) e rivolti a piccoli imprenditori e aziende.

Anni ’90 e un nuovo Sud

Il decreto-legge n. 415 del 1992, convertito nella legge 488/92 pose fine al lungo operato promosso dall’interventismo statale della CasMez e avviò un piano di sostegno rivolto alle aree più depresse del Mezzogiorno con degli investimenti mirati.

Con i decreti legge 32 e 244 del 1995 vennero in seguito attuati rispettivamente i Contratti d’area (interventi di riabilitazione industriale specifici per alcune aree) e i Patti Territoriali. Questi ultimi prevedevano il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi da parte delle amministrazioni pubbliche o di soggetti privati, con la finalità di realizzare progetti d’industrializzazione e investimenti.

I dati dell’epoca mostrano chiaramente una minore convergenza dei redditi pro-capite e dei livelli occupazionali e di spesa, effetto di eventi poco favorevoli. Ricordiamo bene la svalutazione delle lira nel 1992 e la conseguente uscita dell’Italia dallo SME, che generarono parecchie fluttuazioni, incidendo particolarmente sui livelli di competitività con l’estero e quindi sulle esportazioni. Fu abbastanza chiaro che l’impasse economico era alle porte.

Nel 1999 con il decreto legislativo n°1 venne fondata l’agenzia Sviluppo Italia, attualmente denominata Invitalia, a carico delle iniziative relative ai patti territoriali, contratti d’area e ad ulteriori interventi.

Effetti

L’inizio del nuovo millennio ha visto nascere una serie di provvedimenti promossi dai diversi governi e concertati con l’Unione Europea. Le grandi riforme europee e l’adozione dell’euro incisero non poco nei programmi di sviluppo nazionale. Furono istituiti dei fondi specifici per le aree più arretrate e per le zone che necessitavano di una spinta maggiore rispetto ad altre regioni.

La crisi economica mondiale del 2008 non condusse a migliori risultati e le ferite non andarono a rimarginarsi fino ai primi trimestri del 2013, come mostra la figura seguente

Elaborazione DIPE su dati ISTAT

Processi comunitari e sviluppo interno

Nel corso dell’ultimo ventennio si sono susseguiti diversi progetti locali e paneuropei in concomitanza con   l’istituzione di nuovi enti nazionali. L’ACT ( Agenzia per la coesione territoriale) ha già preso parte alla supervisione della programmazione comunitaria del ciclo 2007-2013 e al più recente ciclo 2014-2020.

L’istituzionalizzazione del FESR ( Fondo Economico di Sviluppo Regionale) ha incardinato sempre più l’interesse comunitario per lo sviluppo delle regioni sottosviluppate, imbastendo tale prerogativa tra gli obiettivi da conseguire nei prossimi vent’anni.

Lo stesso Fondo di Coesione incorpora tra le prospettive future un miglioramento in ambito strutturale per quanto riguarda la tutela dell’ambiente, la valorizzazione dei territori con forti mancanze di politiche del turismo e l’implementazione di una più organizzata rete di trasporti di cose, persone e know-how.

Ultime novità e prospettive future

Per il periodo 2014-2020, il Regolamento UE 2305/2017 ha stabilito lo stanziamento di un valore aggiornato a 329.978 miliardi di euro destinati a favorire la coesione economica, sociale e territoriale, di cui 325.9 miliardi destinati ai fondi strutturali (FESR, FSE e Fondo di Coesione). 23.4 miliardi di investimenti in favore della crescita e dell’occupazione interessano le regioni meno sviluppate d’Italia. Tra queste, quelle con un PIL pro capite inferiore al 75% della media UE-27, sono Basilicata, Campania, Calabria, Sicilia e Puglia.

Se volessimo dare una lettura rapida alle condizioni di welfare del nostro paese, potremmo fare riferimento all’indice HDI (Human Development Index). Si tratta di un indice di sviluppo umano elaborato dalle Nazioni Unite costituito da tre componenti:

  • reddito pro-capite
  • tasso d’alfabetizzazione
  • livello di mortalità infantile

che raggiunge un valore pari a 1 nel caso di massimo sviluppo. Nel 2007 l’indice tocca un livello pari a 0.9 a nord e 0.877 a sud, confermando la convergenza delle varie aree del paese nel fornire un tenore di vita uniforme al cittadino medio. Nel 2018 l’HDI in Italia è pari a 0.883.

Indice HDI in Italia – United Nations Development Programme

Cosa ci resta

Il Piano Sud 2030 rappresenta un’allettante opportunità di riscatto per il Sud. Colmando, seppur in parte, il divario regionale, l’augurio è quello che la Questione Meridionale diventi storia e niente più.