La posizione di David Sassoli ha destato forte clamore tra economisti, istituzioni governative e personaggi pubblici. Avanzata dal presidente del Parlamento Europeo, la cancellazione dei debiti accumulati dai paesi europei durante la pandemia non risulta essere ben vista.
Secondo quanto appreso dal tweet di domenica 14 novembre e riconfermato tramite la ri-condivisione dell’articolo pubblicato da La Repubblica da parte dello stesso Sassoli, ecco parte delle dichiarazioni:
<< L’Europa deve cancellare i debiti accumulati dai governi per fare fronte alla pandemia, non è accettabile che ricadano sui cittadini e sulle generazioni future >>
Queste le parole del Presidente che invita le istituzioni europee ad intervenire anche per mezzo di un’alternativa collocazione degli Eurobond e a una necessaria modifica dei trattati istitutitivi.
Non si sono fatte attendere pesanti critiche e risposte sia dai membri del governo italiano – in piena fase di predisposizione del bilancio – sia dai vertici degli organi europei.
Christine Lagarde, durante l’audizione al Comitato Affari Economici e Monetari del Parlamento europeo, replica << andrebbe contro il Trattato >>. La presidente della BCE ha infatti menzionato l’art. 123 del TFUE, che vieta espressamente scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia da parte della BCE e dalle banche centrali nazionali. Facilitazioni che, nei confronti di soggetti istituzionali di qualsiasi paese interno all’Unione, andrebbero ad inficiarne la concorrenza e il libero mercato. Visione accolta e sostenuta dallo stesso vice-presidente della BCE, Luis de Guindos, che ribatte “…da un punto di vista giuridico credo che non ci siano le basi per prevedere una cancellazione dei debiti “.
Anche sul fronte italiano, vari esponenti del governo hanno espresso il loro dissenso su un’eventuale cancellazione del debito, assimilabile giuridicamente ad un default. In primis, il ministro Gualtieri pressa nel sostenere un processo di crescita che andrebbe a manifestarsi solo nel lungo periodo. Le prospettive punterebbero ad un’equilibrata collocazione delle risorse finanziarie e all’inevitabile riduzione del costo per interessi. Così – a detta del ministro – sarebbe possibile contrastare l’aumento del debito.
Il debito per un paese rappresenta un elemento fisiologico, connaturale al sistema economico e sul quale è necessario spesso intervenire, in quanto vigono leggi sovranazionali che lo regolamentano per contemperare le differenti esigenze dei paesi aderenti. Nell’ultimo anno, grazie all’intervento della BCE nell’emissione di titoli pluriennali tramite operazioni di mercato aperto , è stato reso possibile un vigoroso aumento di liquidità nell’Eurozona. Generalmente, una contrazione di questa componente comporta un calo dei consumi e degli investimenti, andando di conseguenza ad indebolire la domanda, ergo deflazione. La BCE gioca un ruolo fondamentale per rispettare il mantenimento di uno stabile livello dei prezzi e preservare l’equilibrio economico generale.
Promuovere la cancellazione dei debiti comporterebbe l’ottenimento – per specifici paesi in condizioni pre-covid favorevoli e prospere – di un vantaggio competitivo enorme, in quanto ogni paese in questi mesi ha adottato politiche economiche differenti, mettendo in conto variabili come:
Attualmente, il debito pubblico italiano si attesta a circa 2.583 miliardi. Il rapporto debito pubblico/PIL continua a preoccupare gli analisti che prevedono uno stallo almeno per altri due trimestri.
L’aumento del fabbisogno di liquidità che, secondo una stima effettuata da Banca d’Italia per il prossimo mese darebbe man forte a circa 144.000 imprese, desta parecchia preoccupazione. Gli indici di produttività tendono a calare vertiginosamente, mentre il debito globale ha raggiunto i 273 trilioni di dollari nell’ultimo trimestre. Ce lo fa sapere una pubblicazione dell’IIF( Institute of International Finance) che prevede per fine anno un aumento del debito a quota 277 trilioni. Unica nota rincuorante è la stabilità dello spread Btp-Bund decennale, che attualmente tocca i 122.200 punti base, permettendo di far respirare i conti nazionali.
C’è da dire che le banche centrali – tramite acquisti di titoli di debito nazionale nel caso ipotetica di ristrutturazione del debito totale o parziale – si accollerebbero una perdita in bilancio. Ciò a causa del fatto che – spiega Tommaso Monacelli nel suo articolo –
i titoli di stato che la BCE detiene sono infatti una attività nel bilancio della banca centrale. Se a questi titoli venisse semplicemente allungata la scadenza (per non dire altro) la Bce subirebbe una perdita di bilancio.
Un’alternativa la suggerisce Carlo Cottarelli che, in virtù dell’eccesso di liquidità detenuto dalle banche centrali presso la BCE in questo momento storico, proporrebbe un congelamento di questa eccedenza, evitando di assorbirla acquistando titoli. I fondi erogati possono attualmente essere prelevati in piena libertà a seconda del fabbisogno nazionale. Se si pensasse di far confluire l’eccesso liquido in una riserva obbligatoria presso la stessa BCE, impedendo di conseguenza la vendita di titoli nei mercati finanziari, si eviterebbe di finanziare eccessivamente il deficit pubblico e l’eventuale rinnovo spasmodico dei btp. Processo da utilizzare una tantum, in quanto un sistema del genere potrebbe facilmente collassare e deregolamentarsi.
Per Cottarelli, la cancellazione di un debito – nel caso di un individuo – presupporrebbe la prevaricazione di un contestuale credito nei confronti di chi lo vanta. Immaginiamo adesso una ristrutturazione dei debiti globali consistente. Questo basterebbe a mettere in evidenza un’asimmetria che non può risolversi retroattivamente, ma per la quale si dovrebbero cercare altre vie d’uscita.