Finanza

Religione e crescita economica: sorelle non di sangue ma per scelta (forse)

Che la religione abbia influenzato lo sviluppo culturale dell’essere umano non c’è alcun dubbio, è perciò impossibile escluderla anche dallo sviluppo economico. Ma quanto religione e crescita economica sono correlate?

Esempio molto importante di questo rapporto è dato dal rapporto della Chiesa con i prestiti.

Chiesa e prestito a interesse

Lc 6,35 recita “fate del bene e prestate senza sperarne nulla”, che è il succo del paragrafo. La chiesa infatti, seppur ovviamente con gli adattamenti, rifiutava l’idea di prestare del denaro per poi ri-averlo con una maggiorazione. È però doveroso precisare che le sacre scritture nascono molto prima della fioritura del settore bancario-creditizio nel 1200.

Da lì infatti la Chiesa va pian piano adattandosi allo sviluppo del credito, accettando l’idea del “costo” del denaro prestato, fino al 1891 con l’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII. Con questa enciclica infatti la Chiesa si pronuncia ufficialmente su temi “sociali” del tempo(salari, socialismo, ecc.) e inizia a finanziare e a riconoscere associazioni quali Associazione Cattolica, Fuci, ecc. che fanno entrare la Chiesa ufficialmente (prima vi erano magari altre parti che lo facevano, ma in via distaccata dalla Chiesa) nel mercato, nel lavoro, nell’economia.
Già da poco prima, ad esempio, era nato il fenomeno delle casse di credito rurali, società completamente mutualistiche facenti successivamente capo a una cassa centrale, di ispirazione cattolica, per il sostegno del piccolo credito, appunto nelle campagne, in genere credito al consumo (vedasi prima cassa rurale a Loreggia, 1883).

Islam e crescita economica

Per guardare (anche se in breve) il rapporto tra Islam come religione e crescita economica, bisogna innanzitutto chiarire che il Corano non tratta nei dettagli né i precetti né le norme giuridiche ma fornisce solo delle enunciazioni generali, esso trova completamento nelle altri fonti, prime fra tutte la Sunna.

I principi economici religiosi dell’Islam sono:

  1. Riba = divieto del tasso d’interesse;
  2. Gharar = divieto dell’incertezza;
  3. Maysir = divieto della speculazione;
  4. Haram (vietato) vs Halal (consentito);
  5. Zakāt = la tassa islamica.

Guardiamoli un po’ più nel dettaglio

Il ribā’ viene fermamente condannato nel Corano oltre che nella Sunna. Per la traduzione viene utilizzato, anche se può confondere, sia “usura” che “interesse”. Ad oggi si tende a tradurre di più con interesse. Da Wikipedia “La più rilevante conseguenza di questa proibizione per quanto riguarda il sistema bancario islamico è la proibizione dell’interesse economico, che ha portato alla creazione di numerosi metodi di finanziamento che permettessero di prestare denaro senza interesse, almeno da un punto di vista formale” (ovviamente con riferimento storico al Medioevo).

Gharār e Maysir: in ogni contratto non deve esistere alcuna forma di rischio o incertezza

La certificazione ḥalāl è lo strumento che garantisce i fedeli di religione musulmana la conformità di un prodotto ai precetti religiosi. In Europa si utilizza solo per il cibo, mentre nella religione musulmana in generale si abbina anche a prodotti finanziari.

Infine, per Zakāt si intende il tributo del fedele islamico per aiutare la comunità e che permette la purificazione della propria ricchezza.

La riforma protestante e la crescita economica

Senza andare nei dettagli della trasformazione della chiesa cristiana dopo l’affissione delle 95 tesi da parte di Lutero, già nei primi del ‘900 Max Weber collega protestantesimo, e più in generale la religione e crescita economica. Lo fa mettendo in relazione la mentalità calvinista e quella capitalista: la prima è infatti una delle basi di partenza della seconda, che porta il calvinista a investire per creare nuova attività economica.

L’osservazione di partenza di Weber risiede nella differenza temporale tra sviluppo capitalistico tra Paesi protestanti e cattolici: come mostrato sotto, infatti, Paesi Bassi ed Inghilterra (protestanti) se confrontati a Spagna o Italia (cattolici) iniziano prima la “prima rivoluzione industriale“.

Fonte:https://twitter.com/thomasforth/status/1002623524853440514
Su dati rielaborati da “Regional economic development in Europe, 1900-2010: a description of the patterns” – https://eprints.lse.ac.uk/87242/

I potenziali motivi

Ma perchè la dottrina calvinista è favorevole allo sviluppo economico più della cattolica?

Bisogna innanzitutto chiarire che nel cattolicesimo vi era la Chiesa a mediare tra Dio e fedeli, che poteva “concedere” il perdono. Questo non era concepito nel protestantesimo: secondo Lutero, infatti, nessun uomo poteva pensare di arrivare a Dio. Eliminando così sia la mediazione che l’idea che le opere buone in vita fossero efficaci per essere salvati. Da questa condizione, il Calvinismo propone una nuova visione: la ricchezza, generata dal lavoro, è segno di grazia divina. Il “povero”, invece, è escluso dalla grazia di Dio, ed è questo che quindi muove le persone nella ricerca di risultati economici.

Una caratteristica che Weber fa notare per valutare la differenza è nella celebrazione della Messa. Mentre i cattolici tendono a cercare di ottenere qualcosa da Dio, i protestanti/calvinisti onorano e ringraziano Dio per ciò che hanno già ottenuto; così come le chiese cattoliche sono piene di oro e imponenti mentre quelle protestanti sono meno vistose e più funzionali alla sola preghiera.

Questa “tesi” subisce comunque delle obiezioni. Una delle più importanti riguarda il “capitalismo commerciale” presente ad esempio nei Comuni Italiani e in Spagna, con alta rilevanza dovuta alla centralità del Mediterraneo; da non dimenticare è anche lo sviluppo dei primi sistemi bancari. Questi infatti sono presenti da prima e in Paesi che da sempre sono stati a prevalenza cattolica. La loro decadenza avviene a causa dello spostamento del commercio dal Mediterraneo all’Atlantico con la scoperta dell’America.

Le obiezioni

Da qui possiamo quindi dedurre, come ammise lo stesso Weber, che la religione è un fattore non trascurabile nello sviluppo economico ma neanche vitale. Almeno non lo è senza considerare la cornice ed eventuali conseguenze.

Un esempio di fattore correlato alla religione è quello del capitale umano. Nella religione protestante infatti, poiché non vi erano sacerdoti ma vi era interpretazione autonoma, era necessario leggere la Bibbia. Di conseguenza era importante l’istruzione per i credenti protestanti, equiparata tra donne e uomini (ovviamente anche le donne dovevano interpretarla!).
Questo una conseguenza non trascurabile: una maggiore istruzione aiutava non solo per l’interpretazione della Bibbia ma anche, ovviamente, in ambito lavorativo e di conseguenza contribuiva allo sviluppo economico.

Conclusione

In conclusione quindi, religione e crescita economica non sono completamente separate proprio per l’impatto culturale (e in tanti casi istituzionale) che la religione ha. Ciò non significa che essa sia il fattore principale per lo sviluppo economico, influenzato in misura più grande da altri elementi più rilevanti.

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Leonardo Iania