Tutti abbiamo qualche parente o qualche amico che a varie riprese e all’interno di certi argomenti, rimarca con più o meno fervore il fatto che sotto la dittatura fascista le persone stavano meglio, l’economia era florida e che servirebbe ai giovani d’oggi il rigore e la disciplina che hanno caratterizzato il ventennio fascista. Cerchiamo in questo articolo di analizzare l’argomento con la neutralità che dovrebbe essere d’obbligo dopo oltre 70 anni dalla caduta del fascismo e al di là delle ideologie.
Il fascismo nasce in piena crisi economica e politica data dalla Grande Guerra. Il movimento, fondato da Benito Mussolini nel 1919 fece leva sui disagi sentiti dai ceti medi, dagli ex militari e combattenti. Questi ultimi difatti, erano alle prese con un difficile reinserimento economico in un Paese stremato dalla guerra e in precarie condizioni economiche dovute ai debiti contratti per le spese belliche. Nel 1922, precisamente il 28 ottobre, Mussolini metterà la sua prima pietra verso un ventennio di dittatura attraverso la marcia su Roma con lo slogan “O ci daranno il Governo o caleremo su Roma”.
No. Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre il governo Facta si riunisce per firmare il decreto di stato d’assedio. Alcune squadre di fascisti provenienti dai nodi ferroviari di Civitavecchia, Orte, Avezzano e Segni vennero bloccate. Solo due colonne di camicie nere sembravano destinate ad arrivare a Roma: quella di Monterotondo e quella di Tivoli. Il re, a sorpresa, rifiuta di firmare il decreto di stato d’assedio. Facta rassegna le dimissioni e il compito di costituire il nuovo governo è dato a Benito Mussolini, che in quel momento si trova a Milano e partirà ormai a “marcia fatta”, in un vagone letto, alla volta di Roma. Il re ha appena affidato l’Italia nelle mani di un dittatore.
Ogni volta che si sente questa affermazione sostenuta da un nostalgico fascista, sarebbe il caso di domandargli di quali pensioni stia parlando. Il sistema previdenziale in Italia nasce ad opera del governo Crispi nel 1898 e prevede un’assicurazione pensionistica su base volontaria destinata ad operai e impiegati. La stessa diventerà poi obbligatoria del 1919 ossia prima del governo fascista. Durante il ventennio fascista vennero adottate misure atte a riorganizzare la previdenza sociale ma così come riporta Stefano Vinci nel suo testo Fascismo e Previdenza sociale:
L’INFAIL (Istituto nazionale fascista contro gli infortuni sul lavoro), nasce nel 1933 a seguito della crisi economica del 1929 che diede il via ad una stagione di interventismo economico e sociale. L’INFAIL sostituisce la Cassa Nazionale Infortuni e gli enti e sindacati autorizzati alla tutela degli infortuni. Il suo scopo sarà quello di occuparsi della gestione dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali per i dipendenti dello Stato.
Sempre per portare a termine il progetto di riunione e coordinazione della previdenza sociale sotto il controllo dello Stato, nel 1933 nasce l’INFPS (Istituto nazionale fascista della previdenza sociale). Al suo interno riunisce le assicurazioni obbligatorie per invalidità, vecchiaia, tubercolosi, disoccupazione involontaria, maternità e per la gente di mare.
Per poter vedere una pensione sociale destinata a tutti sarà necessario aspettare fino al 1969.
Nasce con il nome di “gratifica natalizia” attraverso il CCNL del 1937 e prevedeva la corresponsione di una mensilità in più ai lavoratori appartenenti al settore dell’industria. Quindi non a tutti i lavorati. La tredicesima mensilità così come la conosciamo oggi è stata introdotta nel 1946 ed estesa a tutti i lavoratori nel 1960.
Il pareggio di bilancio si raggiunge nel momento in cui le uscite finanziarie eguagliano le entrate finanziare di un ente, in questo caso lo Stato. Raggiunto nel 1925 (e non nel ’24), non è una leggenda metropolitana. Fu raggiunto, ma non fu il primo. Il primo pareggio di bilancio avvenne nel 1876 ad opera del governo Minghetti. Alberto de Stefani, il ministro delle finanze e dell’economia che raggiunse il pareggio di bilancio, venne destituito nel 1925 in quanto la sua politica neoliberista era mal vista dal regime fascista.
Il fatto che i treni arrivassero in orario “quando c’era lui” è frutto di un’abile mossa propagandistica famosa nel regime fascista. Attraverso la censura e la manipolazione della stampa era il PNF a decidere cosa, quando e in che modo pubblicare sui giornali. Il fatto che non si parlasse di treni in ritardo non significa che non ce ne fossero!
C’è bisogno davvero di ricordare le leggi razziali approvate nel 1938? La “Dichiarazione della razza”? I “Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”?
Ancora oggi, purtroppo, dopo quasi 100 anni da quella marcia su Roma, la storia viene rivista, riscritta, mutilata e ne vengono riportati solo alcuni aspetti senza che vengano contestualizzati in base all’ideologia che si vuole rappresentare. Gli avvenimenti storici, per un’informazione corretta, dovrebbero essere scevri da strumentalizzazioni in modo che alcuni errori appartenenti al passato rimangano esattamente lì, onde evitare che gli stessi si ripetano nel prossimo futuro. Ma di certo non si deve rimpiangere una dittatura.