Il mondo del lavoro ha inevitabilmente subìto forti scossoni e trasformazioni a causa della crisi pandemica, il cui effetto principale si è reso noto nel cambiamento dei livelli della domanda aggregata. Le restrizioni hanno portato ad un forte utilizzo dello smart working, pratica diffusasi a livello globale, nonostante non fosse sconosciuta in diversi paesi.
La volontà di sopperire ai vincoli logistici riscontrati e il bisogno di mantenere la continuità del rapporto di lavoro hanno reso comune questa pratica; ciò non toglie il fatto che le aziende che hanno in parte beneficiato di questo nuovo modo d’interagire, non sono state esenti da forti costi organizzativi e infrastrutturali. Come se non fosse abbastanza lapalissiano, l’utilità dello smartworking è circoscritta a una minima parte dei settori, principalmente dei servizi pubblici e privati, laddove invece la presenza fisica è richiesta nella gran parte delle attività bloccate da ormai più di un anno e mezzo.
Il mondo del lavoro ha di fatto subìto una forte mobilitazione di lavoratori e creazione di nuove offerte professionali su piattaforme digitali, anche in risposta all’adattamento verso cui tutti noi siamo costretti a districarci. Se da un parte – data la dinamicità e imprevedibilità del contesto – si inaugurano nuove aperture e dall’altra si cerca di contemperare mobilità tra paesi e nuovi piani organizzativi, lo smartworking farà parte del nostro quotidiano per tanto tempo, non escludendo un mix tra le due pratiche, considerazione plausibilmente verificabile e per certi versi efficiente.
Fondirigenti ha condotto un’indagine settoriale rivolta al lavoro “agile”; appellativo usato per indicare l’agevole modalità con cui poter lavorare a distanza, al netto di complicazioni tecniche e impedimenti di sorta. E’ innegabile sottolineare la diffusione repentina e condizionata di tale pratica, che potrà sicuramente condurre verso livelli di produttività del lavoro e miglioramento dei servizi offerti, sia a livello pubblico che privato.
Come afferma Costanza Patti, direttore generale del fondo:
<< Tra i principali vantaggi è emerso l’incremento dell’employee satisfaction motivato dal grande valore associato al work life balance, alla produttività individuale e al livello di concentrazione. Gli aspetti più complessi da gestire sono stati riscontrati nell’assenza di rapporti sociali e nella mancanza di interazioni di gruppo, considerate fondamentali per individuare soluzioni creative >>
Questa è la sintesi di quanto risultato dall’indagine condotta dal fondo interprofessionale, che ha coinvolto 15000 campioni risultanti dai dataset posseduti. L’obiettivo finale era dare voce ai diversi ruoli professionali presenti nelle aziende e verificare gli utilizzi benefici e le problematiche derivate dallo smart working. Attraverso l’utilizzo di un questionario online, Fondirigenti è riuscita a delineare un quadro abbastanza uniforme su tutto il territorio nazionale. Lo studio si concentra sulle dinamiche e metodologie applicate dalle aziende e al feedback di chi opera all’interno delle stesse.
Dalle svariate risposte ottenute risulta preminente la presenza del manager/dirigente(48%), seguono gli impiegati/funzionari (29%) e lavoratori dipendenti (22%). Sotto l’1% hanno risposto imprenditori e consulenti. Dall’indagine risulta che il 54% delle imprese è propensa a continuare ad utilizzare lo smart working anche dopo la crisi pandemica, di cui già il 13% afferma di averne usufruito prima della pandemia. Il 42% sostiene di aver adottato il servizio a distanza solo per fronteggiare la crisi pandemica, mentre il restante 4% non se n’è ancora servito. Rivolgendoci alle tipologie d’imprese, l’86% sono cooperative, seguite dagli enti no profit, pari all’85% e infine aziende private non familiari, con un 58% di sfruttamento del servizio.
La rispondenza allo smart-working ha messo in luce il primato delle piccole e medie imprese, in quanto in termini quantitativi vi sono state più chiusure e la specializzazione del lavoro permetteva tale pratica in alcuni comparti aziendali; modalità invece ingestibile in settori come la ristorazione, i trasporti e più in generale nelle realtà più grandi e nelle multinazionali, dove la presenza fisica risultava inevitabile per portare avanti la maggior parte dei processi produttivi.
In termini di qualità del lavoro, ecco come le unità statistiche hanno risposto, categorizzati in base al ruolo professionale:
Come si evince dall’infografica, tra le caratteristiche individuali che hanno beneficiato maggiormente del lavoro a distanza troviamo la produttività, la work life balance, il livello di concentrazione e la gestione del tempo, al contrario di quello che si poteva immaginare. Ne risentono chiaramente i rapporti sociali, i livelli di comunicazione e il livello di creatività; laddove il lavoro in presenza funge spesso da collante tra i vari organi aziendali e a livello psicologico consente una migliore interazione, anche a livello di team working.
Per quanto riguarda le facilitazioni e dotazioni offerte ai lavoratori dipendenti e affiliati, le imprese si sono dovute imbattere in modesti costi infrastrutturali, in sviluppi di nuovi modelli organizzativi, concependo in aggiunta la possibilità di nuovi business models, scevri da barriere culturali e generazionali. Si stima infatti un aumento del 70% di corsi di formazione per lo smart working nell’ultimo anno, dato che sicuramente verrà battuto in futuro.
La digitalizzazione ha già da diversi anni contribuito a rendere più agevole parti della nostra quotidianità, includendo i rapporti lavorativi. Contemperare l’uso dello smart working e del lavoro in presenza gioverà sia a livelli di produttività singola, che di produttività di interi settori; ciò avverà solo ponendo in risalto la concezione che si ha del lavoro, in tutte le sue sfaccettature.