Squid Game è una serie televisiva sudcoreana scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk e distribuita in tutto il mondo sulla piattaforma di streaming Netflix a partire dal 17 settembre 2021. Nel giro di pochi giorni immagini, video e pezzi tratti dalla serie hanno invaso i nostri social. Squid Game ha spodestato la classifica delle serie Netflix, con 111 milioni di utenti raggiunti in meno di un mese. Accaparrandosi il primo posto nella top 10 Netflix in più di 90 paesi nel mondo, è la serie della piattaforma più vista di sempre.
La stessa Netflix stima che Squid Game creerà un introito di quasi $ 900 milioni. L’elevato successo della serie ha provocato una reazione a catena: il titolo Netflix guadagna in Borsa +0,86% avvicinandosi sempre più al proprio record, la vendita delle Vans Slip-on bianche (indossate dai personaggi) vede un incremento del +7.800%, il numero di followers sui profili social dei protagonisti schizza alle stelle. Non a caso, Netflix ha deciso di produrre una seconda stagione, oltre che un videogame ispirato alla serie.
Come spesso succede, il successo di Squid Game non è arrivato fin da subito. Il suo creatore, Hwang Dong-hyuk, ha iniziato a lavorare sulla serie nel 2008, ricevendo numerosi rifiuti, prima di approdare sulla nota piattaforma. Egli racconta di aver immaginato Squid Game come “un’allegoria sulla società capitalistica moderna“. Vedendo la serie, si capisce fin da subito l’estrema attenzione ai dettagli: ogni ambientazione, ogni personaggio, ogni outfit risulta avere un ruolo ben preciso ai fini del gioco. Si tratta di un mix di colori sgargianti, di avvenimenti e di simboli messi in scena con estrema naturalezza, che travolgono lo spettatore e lo lasciano in un misto di confusione e stupore.
La trama vede come protagonista Seong Gi-hun, un uomo divorziato che vive con la madre e tenta di cavarsela tra i tanti debiti e le scommesse alle corse di cavalli. Lui, come altre 455 persone, finisce in quello che viene chiamato “Squid Game”. Tutte queste persone, accomunate dal fatto di essere inondate di debiti e ai confini della società, si ritrovano a dover compiere sfide mortali in cambio di una cifra esorbitante di soldi.
L’unico modo per ottenere il premio finale è quello di superare tutti i sei giochi. Paradossalmente si tratta di semplici giochi fatti dai bambini coreani: “Uno, due, tre, stella”, il tiro alla corda, il gioco delle biglie, il gioco del calamaro. L’unica differenza è che chi si rifiuta di giocare, o chi viene eliminato muore. I giochi, in realtà, sono volutamente semplici, in modo da permettere allo spettatore di “concentrarsi sui personaggi senza essere distratti dalle regole“.
Spostando il focus sui personaggi, l’obiettivo di Hwang era quello di mettere in luce aspetti negativi e positivi della società sudcoreana. Una società “molto competitiva e stressante“, per riprendere le sue parole, in cui 50 milioni di persone cercano di ritagliarsi il proprio posto. Ma cosa si nasconde realmente dietro l’immagine che il resto del mondo ha della Sud Corea? Cosa c’è oltre l’immaginario globale caratterizzato dal successo dei BTS (o Bangtan Boys, una boy band sudcoreana), o del tormentone Gangnam Style del rapper Psy, o di serie tv?
La Corea del Sud è riuscita ad alzare la testa dopo la crisi dovuta alla Guerra di Corea degli anni Cinquanta, grazie a una strepitosa crescita economica. Affermandosi come una delle più grandi potenze asiatiche, tuttavia, ora si trova a far fronte alle tristi conseguenze del capitalismo. Problemi come una sempre maggiore disoccupazione giovanile, uno dei più alti tassi di suicidio al mondo, un aspro divario sociale. Le famiglie sudcoreane hanno raggiunto un indebitamento totale superiore al PIL del paese. I giovani spesso sono costretti a vivere in condizioni inumane.
I concorrenti, così come molte persone nella realtà, sono strangolati dai debiti e “costretti” dalle circostanze a proseguire il gioco. La serie mette in evidenza come questo problema invada la vita di chiunque: dall’uomo d’affari all’immigrato pachistano, dal profugo che fugge dalla dittatura nordcoreana all’uomo malato di cancro. Per scoprire poi, alla fine dei nove episodi, che proprio quest’ultimo, l’uomo anziano malato di cancro era l’artefice di tutto il sistema. Dunque, dietro Squid Game si cela forse un’amara metafora tra la malattia e il debito?