I negoziati per l’acquisizione da parte di Unicredit, in piedi dallo scorso luglio, sono ora interrotti. Tra scontri politici e analisi finanziarie sfuma il tentativo di riprivatizzazione della banca senese.
Con il DPCM del 16 ottobre 2020 (cosiddetto Decreto sulla cessione) il MEF vede accolta la sua domanda per l’avvio di una procedura di dismissione della propria quota partecipativa nel capitale sociale di Monte dei Paschi.Dal 2017 infatti, oltre il 64% delle azioni del più antico istituto di credito in attività appartengono al Ministero dell’Economia e delle Finanze che ne esercita di fatto il controllo.
Tra i potenziali acquirenti spicca il Gruppo UniCredit; la proposta di un accordo quadro finalizzato a chiarire principali criteri dell’operazione, porrebbe anche diverse condizioni di carattere economico e patrimoniale quali:
<< l’esclusione di contenziosi straordinari non attinenti all’attività di ordinaria gestione bancaria e di tutti i relativi rischi bancari … l’esclusione dei crediti deteriorati di Banca Monte dei Paschi >> (per un ammontare di circa 4 miliardi) e << l’adeguata copertura di eventuali ulteriori rischi di credito >>
come ha dichiarato il Ministro del Tesoro, Daniele Franco; il tutto per mantenere la neutralità della posizione di capitale di UniCredit e garantire un incremento del 10% degli utili per azione.
Il 29 luglio 2021 si aprono le trattative col Gruppo Unicredit, in un contesto in linea con le modalità di mercato e che avrebbe consentito alle parti di esercitare la loro libertà negoziale per promuovere – sostiene Franco – lo sviluppo e l’innovazione di entrambe le imprese preservando il marchio BMPS, storico punto di riferimento del settore bancario.
Pochi giorni fa invece, giunge la notizia da parte dell’agenzia britannica Reuters sull’esito negativo: uno stop alla procedura. Alla base di questa decisione vi sarebbe anzitutto un grande squilibrio circa le valutazioni sul valore delle attività di Monte dei Paschi; all’ipotesi dei 3 miliardi inizialmente previsti dal MEF come ricapitalizzazione per le perdite, sarebbe succeduta la richiesta di oltre 7 miliardi da parte dell’amministratore delegato di UniCredit, Andrea Orcel, prontamente respinta dal Ministero; richiesta considerata troppo punitiva per le tasche dei contribuenti, tenuto conto anche degli oneri di ristrutturazione stimati per più di 3,5 miliardi per i numerosi esuberi teorizzati nel piano di fusione.
Sul fronte politico la Lega ha mosso accuse al Partito Democratico di Enrico Letta, recentemente eletto alle suppletive di Siena, imputandogli la responsabilità della crisi MPS che rischia di trascinare con sé miliardi di soldi pubblici e migliaia di posti di lavoro. Una buona dose di ottimismo invece, da parte di PD e M5S.
Il presidente Dem della Toscana, Eugenio Giani, prospetta la possibilità della banca di una ripresa di tipo “stand-alone”che non preveda fusioni o interventi di altre compagnie, mentre il Movimento 5 Stelle esorta il ministro Daniele Franco a chiedere all’Europa una proroga alla scadenza di fine anno, così da aprire al più presto nuove trattative con dei partner alternativi, come BPM e BPER Banca.
Le aspettative sul Gruppo UniCredit sono costate, dopo un iniziale crollo del titolo, un ribasso di circa l’1,03% a quota 11,44 euro. Da parte sua, Monte dei Paschi ha registrato un calo di oltre il 5% a quota 1,01 e che sembra essere destinato a durare a lungo; gli ultimi eventi attorno alla banca hanno senz’altro condizionato negativamente la reputazione agli occhi degli investitori. A trarne vantaggio indiretto secondo gli analisti, potrebbe essere Banco BPM che continua ad essere il candidato preferito nel caso di futuri accordi sulla cessione della quota.
Data la difficoltà di trovare un nuovo partner nel breve periodo, Monte dei Paschi continuerà i suoi prossimi passi in autonomia. Nel frattempo, si rafforzano le ipotesi di costituire un triplo polo bancario affianco a UniCredit e Intesa SanPaolo, lasciando spazio a una maggiore concorrenza che possa offrire diverse soluzioni alle famiglie e alle imprese.
Questo piano, sostenuto da Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, rimane una valida alternativa condivisa da molti ma la riqualificazione non è esente da importanti spese pubbliche che sarebbero, ancora una volta, a carico dei contribuenti.
A cura di Thomas Pusceddu