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Evergrande: la holding dell’edilizia cinese che fa tremare il mondo

Evergrande like Lheman Brothers?

La compagnia oggi nota come Evergrande nasce nella città di Canton (Guangzhou), per mano di Hu ka yan nel 1996. Inizialmente chiamata Hengda Group, l’azienda attua da subito una politica di crescita estremamente aggressiva indebitandosi moltissimo e arrivando in pochissimo tempo a diventare il secondo gruppo immobiliare del paese.

I nodi sono venuti al pettine nell’agosto di quest’anno; con l’invio di una lettera al governo provinciale di Guangdong, la holding si premurava di avvertire i funzionari che i pagamenti dovuti nel gennaio 2021 avrebbero potuto causare una crisi di liquidità e potenzialmente portare a default incrociati in vari settori.

I numeri di Evergrande

Parlando di Evergrande dobbiamo in primo luogo considerare che parliamo di numeri eccezionali. Stando al sito ufficiale, attualmente la compagnia ha più 1300 progetti immobiliari in oltre 280 città cinesi; d’altro canto possiede 300 miliardi di debiti pari a circa il 2% del pil cinese, cosa che la qualifica come la compagnia più indebitata del mondo.

Questi numeri sono in gran parte figli del boom avuto in questi anni dal mattone cinese; basti pensare che il mercato immobiliare attualmente viene stimato intorno al 29% del PIL.

Tuttavia Evergrande ha scelto di non limitarsi a costruire case; a partire dal 2009 la holding ha iniziato a diversificare il proprio business investendo nei settori più diversi. All’interno del gruppo troviamo ad esempio compagnie legate allo sviluppo di prodotti medici e alla mobilità elettrica, così come la catena di parchi di divertimento high techEvergrande Fairyland” o la squadra di calcio della città di Canton, uno dei club di maggior successo della serie A cinese.


Marcello Lippi, ex commissario tecnico del Guangzhou F.C.

Evergrande: timori di un’altra Lheman Brothers?

Parlando del rischio di crollo di una grande compagnia a causa di problemi derivanti dal mercato immobiliare, la mente corre velocemente al terzo trimestre del 2008 quando l’emergere della crisi legata ai mutui subprime portò nel giro di poco più un mese al fallimento della celebre banca di investimento americana Lehman Brothers.

A ben vedere però sussistono delle differenze sostanziali tra i due attori, come spiegato da David Rosenberg alla CNBC. In questo caso ci troviamo di fronte a una holding immobiliare e non ad una società di investimenti, fattore che la rende più resiliente a shock di questo tipo, visto che i terreni e gli immobili tendono a conservare il valore meglio dei prodotti finanziari.

15 Settembre 2008, la Lehman Brothers fallisce | XXI SECOLO

In parole povere Evergrande sarebbe in grado, qualora riuscisse a trovare la liquidità necessaria, a far ripartire i lavori e conseguentemente a ripagare i debiti; laddove Lehman non poteva in quanto gli asset di cui disponeva erano semplicemente senza valore.

Cosa aspettarsi nei prossimi anni?

Evergrande è riuscita a far ripartire i cantieri il 22 ottobre. Dopo il pagamento di una cedola del valore di 83.5 milioni di dollari che non era stata in grado di pagare il 23 settembre, ha evitato così il default che sarebbe scattato il giorno seguente, ad un mese dalla scadenza, e confermando almeno per il momento l’analisi di Rosenberg.

La grande questione adesso riguarda un eventuale intervento di Pechino per risanare definitivamente la compagnia. In prima battuta, sono stati molti gli esperti che, visti i numeri appena citati, si sono affrettati a definire Evergrande come “too big to fail” e a considerare scontato un bailout da parte del Partito Comunista Cinese. Tuttavia, almeno nel momento in cui sto scrivendo, la People’s Bank of China (PBOC) ha smentito questa ipotesi, affermando che non esiste il rischio di spillover e che dunque la compagnia debba cavarsela da sola.

È tuttavia notizia di queste ore che anche la società immobiliare Kaisa group ha mancato un pagamento. Viene quindi da chiedersi se sia giusto parlare di rischio contagio, o se i problemi di liquidità di Evergrande non siano piuttosto il sintomo di una imminente crisi dell’intero comparto che potrebbe frenare ulteriormente la corsa del dragone cinese.

Articolo a cura di Leonardo Perini