Dalla fine della guerra, l’economia tedesca è stata teatro di forti crisi e inaspettate riprese. Nei primi anni del 2000, la scarsa crescita e l’alto tasso di disoccupazione (circa il 10%) le sono costati il titolo di malata d’Europa. E poi il ripetersi del miracolo economico tedesco. Intorno al 2010 la Germania torna a muovere l’economia europea, con un PIL in costante crescita al 2% annuo (nettamente superiore agli altri Stati europei) e una disoccupazione che rasenta il 5%. Fino a prima della pandemia si trova al primo posto per esportazioni, diventando così la locomotiva d’Europa. Nel 2020 l’epidemia segna un altro duro colpo all’export tedesco con un crollo del 9,3% e una forte carenza di materie e manodopera. Si aggiungono il rincaro dei prezzi dell’energia e gli investimenti sempre più mirati alla ricerca di fonti sostenibili.
Lo sviluppo economico tedesco è da sempre legato al mondo delle esportazioni, circa un terzo del PIL nazionale si basa infatti sulla vendita di merci all’estero. Se da una parte ciò caratterizza il punto di forza della Germania, dall’altra la rende dipendente dalla richiesta internazionale e in quanto tale, vulnerabile.
Gli effetti della pandemia (e prima ancora quelli della globalizzazione) hanno fatto riflettere sulla necessità di concentrarsi sulla produzione interna; secondo l’ex ministro delle finanze, Hans Eichel, l’ambiente esterno risulterebbe infatti più difficile rispetto a 20 anni fa. Anche in Cina, dopo 5 anni di partnership commerciale, sembra svilupparsi sempre più un’ottica rivolta alla domanda interna, che rischia di trasformare i rapporti con la Germania in una concorrenza di produzione. Per tutelarsi dal protezionismo, le aziende tedesche sarebbero poi incentivate a spostare le proprie produzioni direttamente nei territori acquirenti, limitando ulteriormente il numero delle esportazioni e tagliando numerosi posti di lavoro.
Quella tedesca risulta la maggiore produzione automobilistica europea; con 800 mila posti di lavoro rappresenta oltre il 5% dell’economia complessiva del Paese. Essa è fortemente incentrata sulle ormai vecchie soluzioni gas e diesel, oggi tuttavia le quote di mercato risultano maggiormente orientate verso un’altra tipologia di motori: quelli elettrici. L’esigenza di una sostituzione con fonti più sostenibili e la mancanza di materie prime di produzione (come i chip) hanno provocato un calo del settore. Dal 2017 le vetture che escono dalle fabbriche tedesche sono circa 200 mila al mese, quasi la metà rispetto agli anni precedenti. La quota a livello globale del mercato è invece passata dal 7% al 5% dal 2015.
Per sopravvivere al passaggio alle auto elettriche, produttori e investitori dovranno ponderare al meglio i loro piani, per creare nuovo mercato e posti di lavoro. Le opportunità non mancano: Tesla, Inc. ha quasi ultimato i lavori per la sua GigaFactory a Berlino da 6 miliardi di dollari; la fabbrica sarà certamente in grado di dare uno slancio al settore, creando 12 mila nuovi posti di lavoro ma la sua apertura era prevista già per luglio 2021.
I 16 anni sotto il governo di Angela Merkel, in cui la Germania ha saputo sfruttare le proprie potenzialità economiche, terminano lasciando diversi propositi. Spetterà al futuro cancelliere mantenere gli impegni e adeguare il modello economico tedesco alla luce dei recenti sviluppi. Olaf Scholtz, il socialdemocratico probabile successore, ha parlato di un grande piano di modernizzazione industriale. Il progetto prevede investimenti di 5000 miliardi per la transizione energetica entro il 2045 ma per l’OCSE occorre un ulteriore potenziamento con riguardo alle infrastrutture sostenibili e alla digitalizzazione. Questo non significa che saranno da abbandonare le linee di successo adottate fino ad ora; il settore delle esportazioni continuerà a rappresentare il principale vanto dell’economia tedesca e affianco ad esso si svilupperanno la domanda interna e una certa autosufficienza produttiva. Se la Germania riuscirà a colmare questi deficit, sarà in grado di superare anche la crisi post-pandemica; e forse tornerà ad essere la locomotiva di una Europa in continua evoluzione.