Joel Osteen – Potrebbe essere il titolo per una commedia della Apatow mafia, eppure questa storia degna del delirio lisergico del più eccentrico sceneggiatore hollywoodiano porta con sé anche delle implicazioni politiche secolari.
Joel Osteen, classe 1963 nasce e cresce a Houston dove inizia a lavorare nell’impresa di famiglia, la Lakewood Church. Il padre di Joel, John, nel 1959 trasformò un vecchio fondo abbandonato nella periferia di Hustin in quella che oggi è la più grande chiesa degli Stati Uniti.
Nel 1999 Joel ha ereditato quello che è un vero e proprio impero mediatico, tale da garantirgli un accesso al mondo dei vip, oltre che naturalmente al loro stile di vita. Basti pensare che qualche anno fa il predicatore aveva coinvolto nei suoi sermoni persino Mariah Carey e Kanye West.
Già a luglio il pastore era stato aspramente criticato dopo essere stato “accusato” dallo Huston Chronicle di possedere una Ferrari. Questa singolare calunnia, successivamente poi smentita da più parti, aveva ravvivato il dibattito sul tema, facendo anche salire l’hashtag #taxthechurch tra i trending topic di Twitter.
Ma la storia non finisce qui. Il predicatore più famoso d’America è tornato a dare scandalo la scorsa settimana. Questa volta però il motore dello scandalo non è stato quello di una roboante Ferrari, ma bensì un semplice idraulico.
Nel corso di un lavoro nei bagni della Lakewood Church, rompendo un muro è saltato fuori un tesoretto dal valore di diverse centinaia di migliaia di dollari, più della metà dei quali in contanti. La chiesa dal canto suo si è affrettata a denunciare il ritrovamento alla polizia di Houston, che attualmente ritiene che il denaro sia collegato a un furto subìto dalla chiesa stessa nel 2014.
Il ritrovamento, oltre all’ilarità e alla curiosità sull’origine del denaro sembra anche destinata a riaprire il dibattito sull’opportunità di tassare maggiormente le attività religiose. Negli Stati Uniti, infatti, dal 1913 le organizzazioni religiose sono in molti casi esentate dal pagamento delle tasse che di norma individui e aziende devono pagare.
Il sistema fiscale statunitense lascia in gran parte spazio alle autonomie locali, e le esenzioni per i ministri di dio non fanno eccezione. Ma la maggior parte delle istituzioni statunitensi sceglie di non far pagare le organizzazioni religiose, esentando in molti casi anche gli investimenti, gli acquisti, e le attività economiche connesse alla pratica religiosa.
Stimare le entrate di questa tassa o più in generale l’effettivo valore della religione nell’economia statunitense appare decisamente complesso, poiché non pagando i tributi le organizzazioni di natura confessionale non sono neanche tenute a dover dichiarare i propri introiti.
Il think thank tax foundation ha scelto di cimentarsi in questa impresa in un articolo pubblicato a luglio, quando l’hashtag #taxthechurch scaldava i polpastrelli degli statunitensi. Stando all’analisi pubblicata sul loro sito un eventuale “church tax” avrebbe degli effetti decisamente limitati.
La stima si aggira infatti intorno ai 2.6 miliardi, che certo faranno strabuzzare gli occhi a molti lettori, ma che se rapportati a una spesa federale che ammonta a poco meno di 7 triliardi di dollari l’anno fanno decisamente meno scalpore.
D’altro canto però anche nel caso in cui le entrate si rivelassero trascurabili, la scelta di tassare le chiese potrebbe comunque avere delle importanti implicazioni per alcune specifiche entità locali, come sottolineato dal sociologo Ryan Cragun in un articolo scritto per The Conversation.
L’adozione di una tassa sulle attività religiose potrebbe essere inoltre motivata esclusivamente da motivi di giustizia sociale, senza dunque badare tanto alle entrate fiscali. Sempre più spesso, infatti, questo tipo di tematiche è al centro del dibattito statunitense e potrebbe spingere l’azione del legislatore molto più di qualsivoglia argomento di natura economica.
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