Finanza

A cosa servono gli investimenti cinesi nel Commonwealth britannico?

Il legame tra Buckingham Palace e il Commonwealth sembra oggi più che mai a rischio. Le isole Barbados hanno infatti dichiarato la propria indipendenza dalla corona britannica martedì 30 novembre rafforzando ulteriormente quell’autonomia ottenuta nel 1966. Se altri paesi dovessero seguire questa scelta il reame del Commonwealth potrebbe scomparire, aggravando la situazione economica inglese già messa a dura prova dalla Brexit.

Prima di proseguire è bene accennare anche a chi non abbia dimestichezza con il lessico delle relazioni internazionali che il termine “Commonwealth” può essere usato per indicare due concetti ben distinti.

  • il Commonwealth delle nazioni è un’organizzazione intergovernativa di 53 Stati indipendenti,
  • il Reame del Commonwealth comprende invece14 dei 53 stati dell’elenco precedente. Questi paesi continuano a riconoscere la regina come proprio capo di stato, sua maestà contestualmente nomina dei governatori incaricati di rappresentare la monarchia inglese in quei territori.

Uno spettro si aggira per il Commonwealth

Questo referendum, a prima vista di scarsa importanza per chi non sia cittadino della nuova repubblica più giovane del mondo nasconde invece delle implicazioni che hanno fatto drizzare le antenne dei più attenti osservatori internazionali.

La ragione ancora una volta va cercata a oriente, nel arcipelago, e più in generale nell’intero reame sono presenti massicci investimenti cinesi. In molti pertanto hanno da subito suggerito, più o meno velatamente, che vi sia un legame tra la presenza di Pechino e l’allentamento del legame tra le ex-colonie e la madre patria.

Il Telegraph ha pubblicato un articolo piuttosto dettagliato che tenta proprio di ricostruire gli investimenti cinesi in questi paesi. Il giornale parla ad esempio di 500 milioni di dollari spesi a Barbados, cifra folle se si considera che parliamo di un paese con un PIL che la World Bank stima intorno ai 4 miliardi.

Sempre secondo l’articolo il colosso asiatico avrebbe investito 685 miliardi di sterline in 42 delle ex colonie britanniche a partire dal 2005. Per contestualizzare questa cifra, basti pensare che gli investimenti cinesi negli stati membri del reame sono in media tre volte più alti in proporzione al PIL del beneficiario rispetto a quanto avviene nel resto del mondo.

In occasione dell’indipendenza delle Barbados il settimanale inglese The Spectator ha invece pubblicato un articolo in cui si tentava di analizzare il legame diplomatico e militare tra il dragone e i paesi del Commonwealth, sottolineando anche in questo caso una crescente influenza cinese.

La reazione dei britannici agli investimenti cinesi

Damian Green membro del partito conservatore britannico nonche membro del nuovo China Research Group ha sostenuto pubblicamente che la Cina stia adoperando il proprio potere economico per mettere in crisi le democrazie, ed ha esplicitamente richiamato la necessità di una nuova visione del Commonwealth come antidoto all’influenza di pechino.

Rasheed Griffith membro del Inter-American Dialogue suggerisce inoltre che il tentativo cinese di aumentare la propria influenza nei Caraibi potrebbe essere finalizzato a entrare nel “cortile” degli Stati Uniti, assicurandosi così un importante posizione strategica in caso di contrasti con Washington.

È bene ribadire che queste dichiarazioni per quanto infuocate non testimoniano la prova di un collegamento tra gli investimenti cinesi e l’indipendenza di Barbados o più in generale per l’indebolimento del legame tra sua maestà e i suoi antichi possedimenti.

Possono infatti essere addotte un’ampia serie di motivazioni completamente slegate dal economia o dalla geopolitica per cui i paesi del Commonwealth intendano rinunciare all’autorità di sua maestà, una su tutte la volontà di distanziarsi dal passato coloniale, come ha spiegato Michael Safi sul Guardian proprio in riferimento al caso Barbados.

Tuttavia non è importante se questa influenza esista o meno, quanto piuttosto se gli inglesi intendano fare qualcosa per limitare la presenza del colosso asiatico nei propri territori. Se Londra decidesse infatti di adottare politiche “anti cinesi”, come in parte già fatto con l’esclusione di Huawei dai progetti 5g, e difficile prevedere quali potrebbero essere le ricadute nei rapporti tra i due paesi e conseguentemente nel commercio internazionale già minato dal peggioramento dei rapporti tra Washington e Pechino.

Credits immagine in evidenza: “Commonwealth Day 2013” by Foreign, Commonwealth & Development Office is licensed under CC BY 2.0 copyGo to image’s website

Published by
Leonardo Perini