Se ad oggi sentiamo parlare ancora di Brexit è perché l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea di inizio anno, ha portato a forti risultati tanto a livello politico quanto economico. Le conseguenze analizzate fino al 2021, sono però una minuscola parte rispetto a quelle che dovranno ancora prodursi nel lungo periodo e che ad oggi è possibile solo stimare approssimativamente.
A marzo, l’agenzia del governo britannico OBR (Office for Budget Responsibility) aveva previsto una temporanea riduzione del PIL dello 0,5% per il primo trimestre dell’anno e un leggero aumento dell’inflazione dovuto alle pressioni sulle importazioni, a seguito dell’attuazione del nuovo accordo sulle relazioni commerciali tra UK e UE, così detto TCA (Trade and Cooperation Agreement). Gli eventuali accordi che il Regno Unito intraprenderà le Nazioni extra UE, non incideranno poi più di tanto sul PIL britannico, poiché andrebbero semplicemente a replicare quelli già adottati con l’Unione Europea. Entro il 2022 il PIL potrebbe però calare del 2,25%, come ha sottolineato la Commissione Europea. A livello migratorio, le nuove norme sulla politica d’immigrazione post-Brexit porteranno insieme una diminuzione della popolazione e un minor tasso di partecipazione al mercato del lavoro
Tra i settori che più hanno subìto le conseguenza della Brexit vi è quello dei trasporti. Durante il mese di settembre alcune compagnie quali Shell, si erano viste costrette a chiudere in seguito alla carenza di autotrasportatori di carburante; erano circa 20 mila gli autotrasportatori europei che consegnavano in territorio britannico e che hanno lasciato il Paese a causa dei nuovi ostacoli burocratici nati dalla Brexit. La crisi ha portato il panico generale tra gli automobilisti britannici che hanno formato lunghe code di macchine davanti alle stazioni di rifornimento, per la paura di restare senza benzina.
Tra gli effetti negativi ricordiamo poi il rincaro generale del costo dei trasporti oltre all’aumento dei tempi d’attesa alle dogane. A risentirne sono anche gli altri settori come quello della pesca, che tanto faceva affidamento sulle esportazioni, e quello dei fast food, in crisi per la mancanza di pollame. Poi ancora il trasporto di gas e quello del sangue, con gravi ripercussioni per gli ospedali.
L’insieme dei disagi ha di certo fatto interrogare la popolazione del Regno Unito sulla scelta della Brexit e la risposta da parte del Governo non si è fatta attendere. Il premier britannico, Boris Johnson, ha infatti dichiarato che per poter osservare a pieno i vantaggi della manovra si dovranno aspettare i prossimi anni. Secondo invece Martin Wolf, editore di Financial Times, la fine dei disagi dovuti alla Brexit dipenderebbe da una serie di importanti riforme quali “un ingente piano statale per finanziare l’aggiornamento delle competenze dei lavoratori, il mantenimento di generosi tassi di credito per stimolare gli investimenti, e la cessione di alcune competenze agli enti locali». Il problema è che al momento nessuna di queste sembra aver avuto inizio.
Dopo il boom di crescita del secondo trimestre si contava che il prodotto interno lordo del Regno Unito sarebbe arrivato a fine anno a quote altissime, riuscendo a superare le difficoltà della Brexit e della pandemia. Il bilancio dell’ultimo trimestre non sembra però presentare particolari risvolti positivi. Il PIL del Paese è infatti aumentato di solo l’1,1% a fronte degli 1,3 previsti in fase di lettura preliminare, notizia che ha allontanato anche numerosi investitori. La scarsa crescita è tuttavia dovuta all’arrivo di Omicron, la nuova variante del Covid19 che sta dilagando in tutta Europa e in particolar modo nel Regno Unito. Pantheon Macroeconomics ha ipotizzato che la crescita del PIL possa continuare a scendere fino a raggiungere lo 0% nel primo trimestre dell’anno prossimo.
Il Protocollo della Commissione Europea, prevede che Irlanda e Irlanda del Nord possano beneficiare del mercato comunitario pur restando nel territorio doganale del Regno Unito. In questo senso le merci che arrivano dal resto del Regno Unito continuano ad essere soggette a controlli doganali, con gravi danni per le aziende. Per facilitare i rapporti di scambio, la Commissione ha quindi proposto un taglio alla burocrazia per l’esportazione di prodotti alimentari e sanitari verso l’Irlanda del Nord; a distanza di pochi il rifiuto da parte del Regno Unito, con la richiesta dell’esclusione della possibilità di ricorrere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in caso di controversie con l’Unione.
Secondo l’agenzia mass media Bloomberg questa risposta potrebbe portare a futuri scontri di tipo commerciale tra Regno Unito e UE, l’apposizione di reciproci dazi e la sospensione unilaterale dal Protocollo, consentita dall’art 16. Si tratta di una disposizione che consente a entrambe le parti di adottare misure unilaterali in caso di modifiche dei rapporti commerciali e per gravi conseguenze economiche. A quanto afferma il diplomatico britannico, David Frost, l’imposizione di controlli doganali giustificherebbe l’applicazione dell’art 16. In questo caso, le azioni del Regno Unito causerebbero senz’altro le reazioni dell’Unione, portando a una vera e propria guerra commerciale tra le due forze politiche; uno scenario che andrebbe ad aggravare ulteriormente la situazione di entrambe le parti, già complicata dalla pandemia.