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Impennata prezzi materie prime alimentari: possibili cause e ruolo della Cina

I prezzi delle materie prime alimentari hanno toccato i valori massimi da oltre dieci anni. Il Food Price Index della FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations) ha registrato nel mese di novembre 2021 un incremento del 27,3% rispetto a novembre 2020. Il prezzo dei cereali è cresciuto del 23,2%, i latticini del 19%, lo zucchero del 40% e i grassi vegetali del 51,4%. Ma cerchiamo di capire meglio le cause e il ruolo della Cina in questo contesto.

La crisi delle supply chains

In seguito allo shutdown delle produzioni all’inizio della pandemia da Covid-19, le forti misure di sostegno pubblico alla domanda e ai redditi hanno determinato un recupero dei consumi repentino e massiccio a cui i sistemi produttivi globali non sono riusciti a far fronte, mettendo in luce le criticità lungo le catene di approvvigionamento delle materie prime.

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Gli effetti della pandemia hanno mostrato come il paradigma del Just-in-Time – sul quale si basa l’attuale gestione delle supply chains – avesse consentito di raggiungere elevati livelli di efficienza a discapito della resilienza. Uno degli effetti principali del disallineamento tra domanda e offerta è stato l’aumento generalizzato dei prezzi a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi. A titolo di esempio, i prezzi dei fertilizzanti anidri, Uan28, Uan32 e urea sono aumentati rispettivamente del 208%, 177%, 166% e 143% rispetto a un anno fa.

L’inflazione da record

Le poderose misure di sostegno pubblico all’economia portate avanti dalla FED negli Stati Uniti, dalla BCE in Europa e dalle altre banche centrali del mondo hanno portato l’inflazione a nuovi record. Lo scorso dicembre 2021 l’inflazione USA al 7% ha toccato il valore più alto degli ultimi 39 anni, mentre nell’Eurozona il dato relativo all’inflazione si è attestato al 5%.

Le conseguenze del cambiamento climatico

Gli eventi atmosferici estremi sono sempre più frequenti a causa dei cambiamenti climatici. Le ricadute sui raccolti si traducono in incertezza, favorendo la propensione dei vari Paesi ad accumulare riserve strategiche di materie prime alimentari.

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Materie prime: la Cina accumula scorte alimentari a ritmi senza precedenti

Secondo l’USDA (United States Department of Agriculture) entro la prima metà del 2022 la Cina deterrà il 69% delle riserve globali di mais, il 60% delle riserve di riso e il 51% delle riserve di grano. Una tale concentrazione di risorse da parte del colosso asiatico provocherà una minore disponibilità per il resto del pianeta.

Le nostre scorte di grano possono soddisfare la domanda per un anno e mezzo. Nessun problema per quanto riguarda la fornitura di cibo

Qin Yuyun, funzionario della China’s National Food and Strategic Reserves Administration

Pechino mantiene le scorte di cibo ad un “livello storicamente alto”. Secondo l’Amministrazione Generale delle Dogane della Cina, nel 2020 sono stati spesi 98,1 miliardi di dollari per l’importazione di cibo; una cifra 4,6 volte superiore rispetto a 10 anni fa.

Il gruppo COFCO (China National Cereals, Oils and Foodstuffs Corporation) gestisce nel porto di Dalian uno dei più grandi siti di stoccaggio alimentare della Cina, composto da 310 silos. Da qui le riserve vengono poi distribuite in tutto il Paese.

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Qual è la situazione attuale e i provvedimenti attuati dalla Cina?

La Cina sta accumulando una grande quantità di riserve alimentari a causa del costante aumento della domanda interna di materie prime e una produzione interna che non riesce a tenere il passo. La produzione cinese di grano e altre provviste e la quantità di terreno utilizzato sono cresciuti fino al 2015, per poi stabilizzarsi.

La produttività agricola in Cina è bassa a causa della dispersione dei terreni agricoli e della contaminazione del suolo

Goro Takahashi, professore emerito all’Università di Aichi, Giappone

Inoltre, i profitti limitati e la grande incertezza rendono l’agricoltura un settore difficile, portando gli abitanti della Cina rurale a migrare verso i centri urbani in cerca di migliori opportunità di sussistenza.

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Il tema della crisi alimentare è molto caro al popolo cinese. Esistono delle ragioni storiche: durante la Grande Carestia avvenuta tra il 1958 e il 1962 sono morte decine di milioni di persone (il numero esatto non è noto, ma i morti sono stimati tra 15 milioni e 55 milioni).

Il presidente Xi Jinping ha osservato come molti membri della sua generazione ricordino ancora la fame. Nel 2013 ha promosso la campagna di riduzione degli sprechi alimentari “CleanPlate” – poi rilanciata nel 2020 – affermando che la Cina deve “mantenere un senso di crisi sulla sicurezza alimentare” e definendo la quantità di cibo sprecata “scioccante e angosciante”. Con i suoi 1,4 miliardi di abitanti, la quantità di cibo che la Cina spreca è sufficiente per sfamare da 30 a 50 milioni di persone all’anno.

L’impatto degli sprechi alimentari e della gestione delle materie prime

L’UNEP (United Nations Environment Programme) ha pubblicato nel mese di aprile 2021 il Food Waste Index Report 2021. I dati raccolti mostrano come nel mondo – solo nel 2019 – siano state generate circa 931 milioni di tonnellate di spreco alimentare; il 61% è riconducibile ai consumatori finali, il 26% lungo la filiera e il 13% nelle rivendite.

Ogni anno vengono gettati 121 Kg di cibo pro capite. Inoltre, è stato dimostrato che il fenomeno dello spreco alimentare riguarda tutte le classi economico-sociali in tutti i Paesi. Di fronte alle problematiche evidenziate dal lato offerta, i consumatori, dal canto loro, possono e devono agire dal lato domanda tramite comportamenti virtuosi che riducano lo spreco di risorse.

Articolo a cura di Claudio Mantuano

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