Il factoring è un modello contrattuale utilizzato dagli operatori economici per il finanziamento alle imprese, qualora sorgessero particolari esigenze non individuate precedentemente dal legislatore. Il factoring consiste nell’acquisto da parte di una figura chiamata factor dei crediti non ancora esigibili delle imprese verso la loro clientela. Si tratta generalmente di aziende che forniscono beni.
L’acquisto avviene grazie a una convenzione per cui il creditore si obbliga a cedere al factor tutti suoi crediti, presenti e futuri, derivati o derivanti dall’esercizio dell’impresa. Il factor svolge una funzione di gestione in quanto amministra i crediti e ne cura la riscossione. Talvolta si fa ricorso all’esecuzione forzata. Oltre alla funzione amministrativa, svolge anche una funzione di finanziamento in quanto anticipa all’impresa l’importo dei crediti acquistati, finanziando l’impresa stessa attraverso un’operazione di sconto. La funzione di assicurazione del factoring si esplicita tramite l’acquisto del credito pro soluto assumendo il rischio della insolvenza del debitore.
Il factoring è classificato come contratto atipico. L’elemento principale che lo caratterizza è la gestione della totalità dei crediti di un’impresa. Essa è attuata mediante la cessione dei crediti, in unione, con un’operazione di finanziamento all’impresa, quale elemento funzionale caratterizzante e talora con un’operazione di assicurazione, quando il factor assume il rischio dell’insolvenza del debitore.
I soggetti coinvolti in un contratto di factoring sono tre:
Sulla qualificazione giuridica del contratto di factoring vanno ricordate le varie decisioni della giurisprudenza. Secondo questa, in contrasto con l’orientamento prevalente, le svariate funzioni diverse di volta in volta che il contratto può assumere, portano alla conseguenza che la disciplina del factoring debba essere ricercata in altre tipologie negoziale analogicamente assimilabili.
La disciplina del factoring deve essere inquadrata, per quanto riguarda le categorie di soggetti abilitati a porre in essere l’attività di acquisto dei crediti, con riferimento al decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), e in particolare al titolo V che disciplina i soggetti operanti nel settore finanziario. La disciplina contenuta nel titolo riguarda alcune categorie di soggetti, diversi dalle banche, operanti nel settore finanziario. Le norme del titolo V sanciscono anche l’esclusività dell’esercizio dell’attività finanziaria svolta nei confronti del pubblico rispetto all’attività di carattere non finanziario.
Ci sono due tipi di trasferimento di credito che si differenziano per il fatto che comportino o meno determinati obblighi per il beneficiario: il credito pro soluto e il credito pro solvendo.
– Pro soluto: il cedente è liberato da qualsiasi responsabilità per l’esecuzione degli obblighi del debitore. Il cedente deve solo provare che il diritto esiste e può essere ceduto, dato che non ci sono motivi per evitarlo o invalidarlo. Questo rischio viene quindi trasferito alla banca, che paga una piccola somma al cedente. Quindi, gli unici vantaggi sono per il cedente in quanto è sollevato da qualsiasi responsabilità e ottiene comunque il flusso di cassa desiderato.
– Pro solvendo: in questo caso il cedente deve garantire che il debitore risponda dei suoi obblighi. Nel pro solvendo, in caso di inadempienza, il cessionario può rivolgersi al cedente, che a sua volta è obbligato a pagare la somma dovuta dal debitore. Quindi, in questa tipologia di factoring, l’azienda rimane responsabile in caso di insolvenza del debitore, ma, in cambio, riceve più liquidità dalla banca in cambio di questo maggior rischio.
In questa seconda ipotesi, il rischio di insolvenza è a carico del cedente, che deve garantire non solo l’esistenza del prestito ma anche il suo rimborso. Altrimenti, il creditore deve mettere mano al portafoglio e pagare. Anche se le tasse sono di solito più alte per l’opzione di pro soluto, questa è l’opzione più comunemente usata proprio perché permette al concedente di non essere più parte del rapporto di debito e di garantire solo l’esistenza del prestito.
Per decidere l’una o l’altra forma di factoring, bisogna valutare molti aspetti, come l’ammontare del debito e la capacità dell’azienda di ottenere finanziamenti. Se non ci sono le condizioni per il finanziamento, può valere la pena cedere un credito, anche se l’accordo di cessione del credito comporta costi più elevati.
Molteplici i vantaggi e così schematizzabili:
Per meglio comprendere le differenze tra le due clausole del factoring, pro soluto e pro solvendo, si può fare un semplice esempio. Matteo è creditore di € 600 nei confronti di Stefano, che salderà il debito tra 120 giorni. Matteo necessita però di quei soldi nell’immediato, quindi cede a Luigi il proprio credito. Luigi chiede ad Stefano di riconoscere il credito e di pagare direttamente lui: anticipa quindi ad Matteo un credito di € 200 con uno scarto che varia dal 20% al 10%. Quando Stefano pagherà il credito, Luigi tratterrà le proprie commissioni e riconoscerà il residuo a Matteo.
La differenza tra pro soluto e pro solvendo sta difatti sul diritto di rivalsa (diritto al rimborso di quanto pagato dal condebitore in solido al creditore) o meno da parte dell’ente creditore, Luigi, nei confronti di Matteo nel caso Stefano non paghi il suo debito.
Il factoring è quindi un modo alternativo di attuare una cessione del credito, divenuto d’utilizzo comune solo di recente. Può sicuramente apportare dei benefici rispetto alle forme tradizionali, grazie alla sua velocità d’esecuzione e adattabilità. Tuttavia, la strada per una regolamentazione ad hoc è ancora molto lunga.