Per social lending si intende un prestito personale erogato da privati ad altri privati tramite l’uso della rete. Il termine deriva infatti dall’inglese to lend = prestare. Lo scopo dell’utilizzo dei siti di social lending è l’ottenere capitale per poter sviluppare un progetto, senza passare attraverso i canali tradizionali, come società finanziarie e banche.
Il social lending è riconducibile ai prestiti personali non finalizzati, tipologia di credito al consumo che non prevede garanzie a protezione del prestatore contro il rischio di default. Nel social lending, chi presta denaro e chi lo riceve mediamente percepisce o paga una quota di interessi più favorevole rispetto a quella proposta dalle istituzioni tradizionali. La quota d’interessi più bassa è data dalla riduzione dei costi d’intermediazione: il prestatore e il richiedente vengono messi in relazione diretta grazie alle aziende intermediarie che, operando su web con servizi automatizzati, riescono ad abbattere i costi.
Ad ogni richiedente viene assegnato un rating, cioè un livello di affidabilità in modo del tutto simile a quanto fanno banche e finanziarie. Più il livello è scadente e più i tassi di interesse sono alti per compensare il rischio. Il prestito viene erogato dopo un’attenta analisi della documentazione fornita dal richiedente, che deve fornire una controprova di quanto dichiarato online. All’ammontare totale del prestito richiesto parteciperanno centinaia di prestatori, ognuno con una quota e un tasso, specifico e fisso, calcolato come media ponderata dei tassi richiesti dai singoli prestatori. Il richiedente restituirà il prestito con una rata mensile, normalmente per addebito diretto su conto corrente bancario. Sarà poi compito dell’intermediario di social lending ridistribuire la rata ai prestatori secondo la quota capitale e la quota interessi spettante. In caso di morosità di uno o più richiedenti, la società intermediaria attiva i programmi di recupero credito a nome di tutti i prestatori coinvolti.
I prestatori partecipano al prestito mettendo in “offerta” il denaro. Si può scegliere una delle due modalità tipicamente proposte dall’intermediario: l’asta al ribasso in cui i prestatori competono tra loro per partecipare al prestito o il tasso fisso stabilito dall’intermediario. Per mitigare il rischio, il prestatore può scegliere più gradi di rischio del richiedente per diversificare l’investimento: non presta mai la somma offerta ad un singolo richiedente ma essa viene suddivisa su decine di richiedenti diversi. In alcuni casi le piattaforme di social lending offrono la possibilità ai prestatori di cedere i propri crediti ad altri prestatori, in una sorta di mercato secondario, per rientrare rapidamente dall’investimento in caso di necessità.
Le aziende di social lending sono for profit: generano il proprio fatturato con una commissione percepita dai richiedenti al momento dell’erogazione del prestito e una commissione percepita dai prestatori per il servizio, tipicamente su base annuale e in percentuale sugli importi in prestito o sugli interessi percepiti.
Dal punto di vista legale sia il prestatore che il richiedente stipulano un contratto concluso con l’azienda di social lending (sempre a distanza). Con questo contratto, il richiedente sarà debitore di n prestatori, ognuno identificato dal suo nickname. Prestatori e richiedenti si conoscono tra loro via nickname Solo l’azienda conosce le identità reali. Il prestito non è mai protetto da garanzie nel caso di default del richiedente. Tuttavia, in caso di fallimento dell’azienda di social lending, il denaro del prestatore è protetto dalle azioni dei creditori dell’azienda stessa e la restituzione delle rate residue prosegue a cura della procedura fallimentare.
Le società di social lending nascono con uno scopo fondamentale: mettere a disposizione una piattaforma che faccia incontrare le richieste di prestito fatte online dai richiedenti con le offerte dei prestatori, formulate secondo criteri da loro scelti.
Tuttavia, molteplici sono i passaggi per poter assicurare che ciò avvenga:
Lo sviluppo della base clienti è fondamentale per assicurare la redditività e quindi la sostenibilità delle società di social lending: tipicamente la curva di crescita dei prestiti erogati è lenta nei primi anni per la novità del fenomeno per poi impennare. Altrettanto importante è mantenere i tassi di default entro limiti accettabili in modo che il guadagno dei prestatori rimanga per loro soddisfacente: eccessi di default allontanano i prestatori, bloccando di fatto il meccanismo del social lending.
Il social lending è di origine anglosassone ed è stato introdotto in Gran Bretagna da Zopa nel marzo 2005. Si è sviluppato prevalentemente negli Usa, in Europa e in Cina, ma la sua importanza aumenta dopo la crisi finanziaria del 2008 e la successiva credi crunch. Nel 2012 supera il miliardo di dollari di prestiti erogati. Accanto al social lending si è sviluppato anche il filone della microfinanza via web, in cui si finanziano i progetti di microimprenditori in tutto il mondo senza interessi.
In Italia operano cinque società, Prestiamoci, Soisy, MotusQuo, Younited Credit, Blender e Smartika. Quest’ultima è stata inserita da Forbes nella lista delle top 10 piattaforme europee di social lending che svolgono l’attività di Peer to Peer lending tra privati. L’unica piattaforma italiana di Peer to Peer lending per le aziende è BorsadelCredito.it.
In Europa, una delle aree di maggiore sviluppo del social lending è quella delle Repubbliche Baltiche, dove operano decine di società, tra cui Mintos e Twino.
Il social lending diventerà un mezzo sempre più comune di finanziamento per progetti e piccole attività nei prossimi anni. La sua potenzialità è già testimoniata dall’ingresso di Google nel capitale di Lending Club. I privati con cifre investibili relativamente basse e con un orizzonte temporale breve potranno trovare una fonte alternativa di diversificazione, ottenendo due benefici: un ottimo rendimento e la partecipazione alla cosiddetta “economia reale”.