Da quando Elon Musk ha deciso che Twitter non sarà più quotata in Borsa, si sente sempre più spesso parlare di “delisting”. Termine che, per quanto possa essere conosciuto nel mondo della finanza, è sconosciuto ai più. Dunque, quando Elon Musk dice che vuole delistare Twitter dalla Borsa, concretamente cosa intende? E soprattutto, questa azione cosa comporta? Cerchiamo di spiegare bene cosa si intende con l’espressione “delistare una società” e quali possono essere le possibili conseguenze sugli azionisti.
Il processo tramite cui una società quotata viene rimossa dalla piazza azionaria di scambio delle azioni, viene definito “delisting”. Quando può succedere questo? Il delisting può avvenire sia su base volontaria sia su base involontaria. Un’azienda può volontariamente decidere il delisting e ritornare a scambiare le azioni in modo privato quando capisce che il costo della quotazione in Borsa è maggiore dei benefici.
Ma può subire il delisting anche involontariamente e questo avviene quando un titolo non è conforme ai requisiti previsti dalla Borsa. Per poter essere quotate in Borsa, infatti le aziende devono soddisfare gli standard di quotazione che ogni borsa stabilisce. Lo standard più comune è il prezzo infatti è raro che una società che abbia un prezzo per azione inferiore ad 1 dollaro venga quotata in Borsa.
Le ragioni di un delisting possono includere anche le violazioni dei regolamenti o il mancato rispetto degli standard minimi che includono, ad esempio, la capacità di mantenere un prezzo minimo per quotazione. Quando una società non soddisfa questi requisiti, viene emesso un avviso di non conformità che, nel caso in cui persiste, porta alla rimozione della società dal mondo azionario. Alcune volte per evitare ciò, più azioni si fondono in una. Ad esempio, prendiamo il caso di una società che fonde in modo inverso 1 azione su 10. In questo modo, se 1 azione vale 50 centesimi, 10 azioni combinate in 1 varranno 5 dollari.
Per spiegare cosa potrebbe succedere nel caso in cui un investitore si trovi ad avere azioni in una società in fase di delisting facciamo due esempi pratici.
Esempio 1: l’OPA di Intesa San Paolo su Ubi Banca, conclusasi con successo nel 2020. Intesa San Paolo, nell’estate 2020, ha promosso un’OPA su UBI Banca acquisendola tramite fusione. In questo caso anche gli azionisti che non hanno aderito all’offerta pubblica di acquisto si sono trovati ad avere sul conto azioni quotate di Intesa San Paolo. Rapido ed indolore.
Esempio 2: l’OPA di Sofima Spa su IMA. In questo caso l’obiettivo era proprio l’azione di delisting. Infatti, i titoli sono stati delistati e non trasformati in un altro strumento quotato come nel primo caso. Qui la situazione è un pochino più complessa in quanto chi si trovava ancora in possesso di titoli IMA avrebbe dovuto provare a parlare con la società per verificare se ci fosse la disponibilità da parte dell’acquirente a rilevare le azioni rimaste sul mercato. Bisogna, in ogni caso, pensare che non sempre c’è la volontà di riacquisto delle azioni ancora presenti sul mercato a seguito di delisting, dunque, l’azionista si troverebbe ad essere in possesso di azioni marginali ad impatto praticamente nullo.
È in corso proprio in questi giorni, un’OPA volontaria su Atlantia da parte di Benetton e Blackstone. Le due società hanno deciso di promuovere l’offerta pubblica di acquisto a 23 euro per azione per delistare Atlantia preservandola da acquisti esteri. L’obiettivo sembrerebbe essere la salvaguardia delle sue origini italiane. Infatti, nei giorni scorsi sono state respinte delle offerte da parte dei fondi di investimenti GIP e Brookfield che miravano al controllo del gruppo autostradale italiano. Il corrispettivo offerto attraverso il veicolo Schema43 difficilmente avrà controfferte, visto che il titolo si allinea al prezzo dell’OPA (euro 22,81). Questa è la seconda più grande operazione dell’anno in corso di M&A dopo che Microsoft ha acquisito Activision Blizzard per 69 miliardi di dollari.