La J-curve descrive l’impatto dell’illiquidità di un fondo di private equity sul suo valore patrimoniale netto (NAV “Net asset value”). Un grafico del rendimento annualizzato del NAV di un fondo di private equity nel tempo (dall’inizio alla chiusura) mostra l’effetto della “J-Curve”.
La pratica di accumulare le commissioni di gestione e i costi di avviamento porta a un disallineamento con il valore contabile, e gli investimenti “in perdita” si manifestano più rapidamente (nel tempo) rispetto agli investimenti migliori, che dovrebbero essere contabilizzati al costo storico anziché a quello prospettico perché illiquidi (linee guida dell’International Venture Capital Association): ciò comporta rendimenti negativi nei primi anni (3-4 anni) del fondo, ma rendimenti esponenzialmente crescenti negli anni successivi. Dopo circa 3 anni, è possibile valutare la qualità del fondo (tasso di rendimento interno o IRR). L’effetto della J-curve è generalmente minore (2 anni) per i fondi di buyout rispetto ai fondi di venture capital e di development capital (3-4 anni).
La j-curve è utile anche per spiegare la condizione di Marshall-Lerner; infatti, il cosiddetto effetto curva J si verifica in caso di deprezzamento del tasso di cambio. Nel breve periodo, i deprezzamenti del tasso di cambio peggiorano la bilancia commerciale perché si riflette solo l’effetto prezzo, mentre l’effetto quantità è solitamente nullo. Questo perché i consumatori e i produttori reagiscono in modo diverso alle variazioni dei prezzi di IM e EX rispetto alle variazioni dei tassi di cambio, per cui i volumi scambiati rimangono invariati per un certo periodo di tempo. Nel lungo periodo, l’effetto quantitativo è più pronunciato e riesce a determinare un aumento delle esportazioni e una diminuzione dell’IM. La bilancia commerciale migliora quindi nel lungo periodo.
Una curva a J è una linea che mostra una perdita iniziale immediatamente seguita da un forte aumento. Nel diagramma, questo schema di attività corrisponde alla forma di una grande “J”. L’effetto curva J è spesso utilizzato in economia per descrivere, ad esempio, il modo in cui la bilancia commerciale di un Paese si deteriora inizialmente dopo una svalutazione monetaria, per poi riprendersi rapidamente e infine superare la performance precedente. Le curve a J sono state osservate anche in altri campi, tra cui la medicina e le scienze politiche. In ogni caso, rappresenta una perdita iniziale seguita da un aumento significativo fino a un livello superiore al punto di partenza.
Il termine “curva J” viene utilizzato per descrivere la traiettoria tipica degli investimenti effettuati da una società di private equity. La curva J riflette visivamente il semplice fatto che a volte le cose peggiorano prima di migliorare. Le società di private equity hanno un percorso diverso per raggiungere la redditività rispetto alle società o ai fondi pubblici che investono in esse. I loro portafogli sono essenzialmente costituiti da società che al momento dell’acquisizione registravano performance negative. L’azienda spende quindi ingenti somme di denaro per trasformare l’attività prima di essere scorporata come società ricostituita. Ciò significa che le prestazioni inizialmente diminuiscono e poi, almeno in teoria, migliorano rapidamente.
Come si può attenuare l’effetto della curva “j”, che fa sì che molti investitori rifuggano dagli investimenti alternativi?
Un investitore può aspettarsi che questa dinamica si riduca in un periodo più o meno lungo, a seconda del tipo di strumento sottoscritto; a questo proposito, credo sia utile ricordare il primo punto: tutti gli investimenti sono soggetti a questa tendenza, sia che il punto di riferimento sia il mercato quotato che i mercati privati. Nel primo caso, i costi applicati dall’intermediario alla transazione si riflettono di fatto in un immediato rendimento negativo dell’investimento, che può essere “assorbito” più o meno rapidamente, a seconda dell’andamento del mercato; sui mercati privati, la questione è un po’ più complessa e merita maggiore attenzione.
In questo caso, il processo di analisi e valutazione iniziale richiede una maggiore complessità e una diversa strutturazione, oltre a costi iniziali più elevati; a questo primo elemento se ne aggiunge un secondo, legato al diverso modo in cui si genera valore dall’investimento. Entrambi gli effetti influenzano l'”effetto J”: più alto è il costo iniziale, maggiore è la “profondità” della “J”; più lungo è il tempo necessario per creare valore, maggiore è la “pendenza” della “J”.
Con gli investimenti alternativi si verifica un fenomeno che si potrebbe definire “fisiologico”, ma è compito degli investitori previdenziali mitigarlo: i fondi pensione discutono di valutare i propri asset al valore di mercato almeno una volta al mese, in modo da contabilizzare le eventuali perdite di capitale subite nei primi anni dell’investimento man mano che si accumulano.
In primo luogo, gli investimenti in classi di attività alternative dovrebbero essere limitati a quei comparti dei fondi pensione che si rivolgono agli iscritti più lontani dalla pensione. In questo caso, i partecipanti beneficiano della plusvalenza derivante dall’investimento e la loro posizione previdenziale non è influenzata dalle perdite di capitale a breve termine.
La seconda direzione è la pianificazione del programma di investimento: se il fondo pensione sceglie di investire in asset class alternative, dovrebbe infatti cercare di distribuire gli asset in modo graduale per “spalmare” l’impatto J-curve su un periodo più lungo, evitando una curva troppo profonda.
In pratica, quindi, esistono due possibili soluzioni complementari, che permettono di ridurre sensibilmente la “curva J” iniziale e che possono aiutare il fondo pensione a valutare con maggiore serenità e coscienza questo tipo di investimento.