In seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’economia della zona euro si trova ad affrontare una situazione in cui l’inflazione è troppo elevata, ma la produzione rallenta: stagnazione. Il livello dei prezzi è considerevolmente aumentato, soprattutto per i beni energetici e alimentari. Oltretutto, molte imprese incontrano maggiori difficoltà nel reperire i materiali di cui necessitano per la propria attività produttiva. Di conseguenza, per la prima volta in undici anni, a Luglio 2022, il Consiglio direttivo ha deciso di aumentare i tassi di interesse. Un aumento, attuato a settembre, che è stato il maggiore nella storia della BCE.
“… Allo stato attuale, prevediamo di aumentare ulteriormente i tassi di interesse nei prossimi incontri per smorzare la domanda e prevenire il rischio di un persistente spostamento al rialzo delle aspettative di inflazione”. Le future decisioni sui tassi continueranno a dipendere dai dati e seguiranno un approccio riunione per riunione”.
Christine Lagarde
Lo ha confermato la presidente della BCE, Christine Lagarde, in audizione alla commissione economica del Parlamento europeo, il 26 settembre.
Il consiglio direttivo è uno dei tre organi decisionali della BCE, assieme al comitato esecutivo e al Consiglio generale. Ed è presieduto dal presidente della BCE, Christine Lagarde. Comprende i sei membri del Comitato esecutivo e i governatori delle banche centrali nazionali, dei paesi dell’area dell’euro.
Dapprima è stato un organo a votazione semplice, ossia ogni membro aveva diritto ad un voto. Con l’adesione della Lituania, il numero dei governatori delle banche centrali, membri del consiglio stesso, ha superato il limite di diciotto. Questo ha innescato un processo di ridistribuzione dei voti proporzionale alle dimensioni delle loro economie. Si pensi, infatti, che i governatori delle banche delle economie più rilevanti hanno diritto a quattro voti. Tutti gli altri si condividono undici voti.
Le principali funzioni del Consiglio direttivo consistono in:
Adotta progetti di decisione predisposti dal Consiglio di vigilanza secondo la procedura di non obiezione (se il Consiglio direttivo non solleva nessuna obiezione entro un lasso di tempo, allora la decisione si considera adottata).
Le riunioni del Consiglio si svolgono, solitamente, due volte al mese nella sede della Bce a Francoforte sul meno, in Germania. Prima di ogni riunione, la Bce pubblica il resoconto dell’ultima riunione del consiglio. Ogni sei settimane deve valutare gli andamenti economici e monetari – soprattutto in questa delicata di sofferenza economica. Assume le decisioni di politica monetaria. Mentre le residuali riunioni si focalizzano su aspetti relativi ad altri compiti.
Inoltre, trova applicazione il principio di separazione. La Bce, cioè, assicura una separazione degli obiettivi e dei processi decisionali attraverso una rigorosa separazione delle riunioni. Quindi, convocando a parte quelle del Consiglio direttivo.
Oltre alle esperienze del passato, la teoria economica sostiene l’idea che, preservando la stabilità dei prezzi, la politica monetaria è in grado di massimizzare il benessere generale dell’economia. Proprio su ciò si basa il mandato primario conferito all’Eurosistema, costituito dalla BCE e dalle banche centrali nazionali dei paesi che hanno adottato l’euro. In uno scenario inflazionistico, come quello attuale, lavorare per mantenere il tasso d’inflazione su livelli inferiori ma prossimi al 2 per cento, su un orizzonte di medio periodo, è importante perché:
Si parla di facilitare le variazioni dei prezzi relativi, ossia dei prezzi dei beni espressi in termini di atri beni. Queste sono variazioni non nascoste dalle variazioni generali dei prezzi.
Ad esempio, assumiamo che un bene subisca un rincaro dell’1,5 %. Se il livello generale dei prezzi è stabile, i consumatori e imprenditori interpreteranno correttamente il rincaro come un aumento del prezzo relativo del prodotto. In questo modo possono decidere se limitarne l’acquisto. In presenza di inflazione instabile ed elevata, risulterebbe difficile capire se e come è cambiato il prezzo relativo dello stesso prodotto.
È il rendimento aggiuntivo richiesto dagli istituti di credito a fronte dell’incerto andamento dell’inflazione. Quindi il compenso per il rischio inflazionistico connesso alla detenzione di attività nominali di lungo periodo.
L’incertezza del quadro inflazionistico potrebbe intaccare la solidità dei bilanci bancari. Se le banche dovessero concedere prestiti a lungo termine a tasso fisso, finanziati però da depositi a breve termine, un improvviso aumento dell’inflazione diminuirebbe il valore reale delle attività. Il tutto con conseguenti problemi di solvibilità delle banche stesse e reazioni a catena negative.
Di norma, i sistemi in questione, non contemplano l’indicizzazione delle aliquote impositive e dei contributi previdenziali al tasso di inflazione.
L’inflazione può essere inquadrata come un’imposta occulta sulla liquidità.
Perché? Ipotizziamo che, attualmente e ironicamente, i prezzi stiano aumentando (inflazione). Ipotizziamo che tu scelga di tenere il tuo stipendio di 1000 euro sotto il materasso. E diamo per certo che non hai un rendimento su quella somma liquida – tasso di interesse. Con la quantità nominale di 1000 mille euro non potrai acquistare – realmente- la stessa quantità di beni di prima. Come se fossi stato tassato!
Pertanto, l’attuale scenario inflazionistico e di aumento dei tassi di interesse spingerebbe a non ricorrere al contante non remunerato!
Innanzitutto, ad essere più colpiti dalle oscillazioni inflazionistiche non controllate sarebbero coloro che appartengono alle fasce meno abbienti della popolazione.
In un secondo piano, ad essere attaccati nel loro potere di acquisto sarebbero coloro che non avrebbero la possibilità di tutelare i propri crediti nominali. Ad esempio, un’improvvisa e ingestibile fase inflazionistica farebbe si che la ricchezza subisca un trasferimento arbitrario dai prestatori o risparmiatori verso i prenditori. Il denaro prestato e rimborsato consentirebbe di acquistare quantitativi minori di beni. Inferiori rispetto a quelli attesi nel momento in cui è stato concesso il credito.