Economia

Finanziamenti pubblici alle fonti fossili: dall’Italia più soldi al gas che alle rinnovabili

I finanziamenti pubblici alle fonti fossili sono ancora troppo alti, molto maggiori rispetto a quelli indirizzati alle fonti rinnovabili. Lo rivela un report di Oil Change International, realizzato con la collaborazione di numerosi enti nazionali ed internazionali, tra cui Legambiente.

Il report ha analizzato gli investimenti pubblici in campo energetico delle principali potenze economiche mondiale.

In particolare, sono stati esaminati tutti gli stati che partecipano al G20, il summit delle prime 20 potenze economiche del mondo. È emerso che i finanziamenti pubblici alle fonti fossili sono stati quasi il doppio rispetto a quelli indirizzati alle energie pulite, considerando i dati del triennio 2019-2021. Infatti, gli stati del G20 hanno investito una media di 55 miliardi di dollari l’anno, tra finanziamenti diretti ed indiretti, sulle fonti fossili, in particolare gas naturale; le energie pulite hanno invece ricevuto 29 miliardi di dollari in media l’anno, quasi la metà.

In questo contesto l’Italia risulta tra i primi 10 stati al mondo per finanziamenti pubblici alle fonti fossili, con ben 2,8 miliardi di dollari l’anno investiti tra il 2019 ed il 2021.

Finanziamenti pubblici alle fonti fossili: come funziona il sistema

Il problema finanziario della transizione energetica è stato uno dei temi principali della conferenza COP26 tenutasi a Glasgow nel novembre del 2021, e sarà anche al centro del COP27 che si terra in Egitto dal 9 novembre 2022.

Paesi ricchi e paesi poveri

La mitigazione del cambiamento climatico richiede uno sforzo economico enorme, legato evidentemente agli investimenti necessari per trasformare il sistema energetico mondiale. Tuttavia, questo sforzo dovrebbe essere redistribuito in modo equo tra i vari paesi, principalmente per due ragioni.

In prima istanza, non tutti i paesi del mondo hanno le stesse risorse economiche e tecnologiche, quindi i paesi più ricchi dovrebbero contribuire di più. In secondo luogo, non tutte le nazioni hanno contribuito allo stesso modo all’inquinamento globale.

Bandiere dei paesi del G20 durante il summit del 2021 in Italia. Credis: Ministero dello Sviluppo Economico.

Questi due temi sono emersi in modo ricorrente durante la conferenza COP26 di Glasgow; i paesi del sud globale hanno evidenziato come essi abbiano contribuito molto meno alle emissioni di gas serra. Inoltre, spesso sono questi stessi paesi a subire gli effetti più gravi della crisi climatica.

Molti stati hanno proposto l’istaurazione di un fondo di compensazione, finanziato dai paesi più ricchi e finalizzato ad affrontare le conseguenze deli cambiamenti climatici nei paesi a basso reddito del sud globale.

Nella relazione finale del COP26 tutti questi concetti sono stati evidenziati e messi nero su bianco; tuttavia, in modo molto vago. Nella relazione si chiarisce che gli stati più ricchi e con maggiori emissioni di CO2 dovranno compensare gli altri paesi, con dei fondi proporzionali ai danni subiti a causa del cambiamento climatico. Tuttavia non è affatto chiarito come definire in termini economici queste compensazioni, né come quantificare i danni subiti. Infine, non è stato chiarito il metodo per stabilire la correlazione tra eventi disastrosi e crisi climatica.

Senza dubbio questi punti caldi saranno al centro della conferenza COP27 che si terra a Sharm el-Sheikh nel novembre 2022.

I numeri economici dei paesi del G20

Un altro tema al centro del COP26 è stato il ruolo degli istituti internazionali e degli enti pubblici nel finanziamento alle fonti fossili e rinnovabili.

Il report G20 at a Crossroad, pubblicato con la collaborazione di Lagambiente, ha evidenziato che i paesi del G20 e le maggiori Banche di Sviluppo Multilaterale hanno investito una media di 86 miliardi l’anno in fonti fossili, nel periodo tra il 2016 ed il 2018.

Nel triennio successivo, tra il 2019 ed il 2021, il valore medio si è abbassato a 55 miliardi l’anno. Tuttavia, è stato evidenziato che solo un terzo di questa diminuzione è dovuta a politiche specifiche di phase-out degli investimenti in fonti fossili; il resto è dovuto ad una congiuntura di mercato ed alla crisi dovuta al COVID.

Gli investimenti in fonti rinnovabili sono rimasti in fase di stagnazione, essendo pari 27 miliardi l’anno in media nel periodo 2016-2018, e pari a 29 miliardi l’anno nel periodo 2019-2021. Ciò significa che al 2021 i finanziamenti pubblici alle fonti fossili nei paesi del G20 sono ancora quasi il doppio rispetto agli investimenti nelle fonti rinnovabili.

I primi 5 paesi per investimenti pubblici in fonti fossili sono Giappone, Canada, Corea del Sud, Cina e Stati Uniti. Nel triennio 2019-2021 questi paesi hanno investito tra i 4 e gli 10 miliardi di dollari in fonti fossili, e tra i 200 milioni e i 2 miliardi in fonti rinnovabili. I paesi più virtuosi sono Brasile e Francia, gli unici che hanno investito più in energie green che in fonti fossili.

Italia

Il rapporto ha evidenziato che l’Italia, nel periodo 2019-2021, ha investito in media 3,2 miliardi di dollari in energia, di cui 2,8 miliardi in finanziamenti pubblici alle fonti fossili. Solo 112 milioni di dollari in media sono stati destinati a fonti rinnovabili.

Gran parte degli investimenti esteri si sono concentrati principalmente sul gas naturale. Prima dello scoppio della guerra in Ucraina, l’Italia ha investito parecchio nel consolidare il rifornimento di gas russo. Tuttavia, come rivela Legambiente, con la guerra in Ucraina gli investimenti si solo spostati in altri mercati gasieri, come quello nordafricano e del trasporto via mare di gas liquefatto (GNL).

L’ex ministro della transizione energetica Cingolani, durante la conferenza COP26 del 2021, a Glasgow. Credits: Ministero della Transizione Ecologica.

Il ruolo degli enti statali nei finanziamenti pubblici alle fonti fossili

I paesi del G20 finanziano i progetti energetici in ambito nazionale ed internazionale tramite due tipologie di enti: le Export Credit Agencies (ECA) e le Development Finance Institution (DFI). In generale questi enti sono controllati dal governo statale, sia in modo diretto che indiretto.

In alcuni paesi esiste un’unica ECA che si occupa degli investimenti esteri o anche nazionali. In altri paesi, come Cina, Corea del Sud e Giappone, esistono diversi enti che si occupano delle varie operazioni di investimento finanziario internazionale. In altri paesi ancora le operazioni della ECA sono un semplice ramo di un’organizzazione più ampia, come avviene in Francia, Brasile e Italia.

In Italia,la ECA può essere ricondotta a due enti principali: una branca di investimenti di Cassa Depositi e Prestiti e l’agenzia italiana di credito all’esportazione, Servizi Assicurativi del Commercio Estero (SACE).

Questi enti sono di fondamentale importanza nel sistema di finanziamenti pubblici alle fonti fossili. Nel triennio 2019-2021 le ECA e le DFI dei paesi del G20 hanno investito in media 35 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti alle fonti fossili, rispetto alla media di 3,5 miliardi investiti in energie rinnovabili. Circa il 90% degli investimenti totali nelle è stato indirizzato al gas naturale, in progetti di estrazione, stoccaggio e trasporto.

Apertura della conferenza COP26 del 2021 a Glasgow. Credits: Kiara Worth, International Institute for Sustainable Development.

Oltre l’aspetto quantitativo, le ECA hanno un impatto determinante nell’indirizzare le politiche finanziare dei soggetti privati. Infatti, i fondi forniti dalle ECA spesso supportano quei progetti molto complessi e rischiosi, che senza la garanzia statale non sarebbero appetibili per le aziende private.

Ad esempio, l’esplorazione di un nuovo giacimento di gas è un’operazione costosa e su larga scala, che potrebbe anche risolversi in un nulla di fatto, come nel caso in cui dei giacimenti individuati sono difficili da raggiungere con le trivelle.

In tutti i casi analoghi, senza la garanzia dei fondi statali molte aziende private preferirebbero investire su altro. Questo rende l’operato degli enti pubblici molto più importante dei semplici numeri, in quanto da un indirizzo politico al settore energetico.

Disparità di investimenti

Il report G20 at a Crossroad ed il 2021 Energy Outlook dell’Iternational Energy Agency (IEA) hanno indicato che gran parte degli investimenti in ambito energetico dei paesi del G20 è indirizzato all’interno degli stessi paesi, in contraddizione con il principio di compensazione e redistribuzione discusso nel COP26.

Gli investimenti finanziati dai paesi del G20 in energie rinnovabili restano quasi esclusivamente all’interno degli stessi paesi. Ad esempio, la Francia nel periodo 2019-2021 ha rivolto tutti gli investimenti in energie pulite nel territorio francese o in UK; il Brasile, nello stesso periodo, ha rivolto gli investimenti green nel solo settore nazionale.

I paesi a basso reddito sono spesso esclusi dai circuiti di investimento internazionali. Il report della IEA evidenzia che in Africa vive il 77% del totale delle persone che non hanno accesso ad energia elettrica; per rendere l’energia accessibile a tutti in Africa servirebbero 25 miliardi l’anno di investimenti in media. Nonostante ciò, tra il 2015 ed il 2021 i finanziamenti per le energie rinnovabili sono diminuiti nei paesi africani, passando da 3,7 a 2,3 miliardi annui in media.

Rendering di una centrale di trattamento di gas naturale in Mozambico, la cui realizzazione è prevista nei prossimi anni. Credits: Eni.

Al 2021, in Africa il 50% degli investimenti internazionali riguardava fonti fossili, con progetti principalmente indirizzati all’export.

Anche i finanziamenti pubblici alle fonti fossili dei paesi del G20 restano sempre all’interno dei paesi a medio ed alto reddito, con l’eccezione del Mozambico, che riceve ingenti finanziamenti grazie ai suoi giacimenti di gas.

Stop ai finanziamenti pubblici alle fonti fossili: sarebbe il primo passo

Secondo le previsioni della IEA, per rispettare l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C, sarebbe necessario far crescere in modo esponenziale gli investimenti in energie rinnovabili nel periodo tra il 2022 ed il 2026; infatti, si dovrebbe arrivare ad una media di 250 miliardi di dollari annui.

Anche se tutti i paesi del G20 spostassero i loro investimenti pubblici nel settore green, non basterebbe. Ma sarebbe un inizio.

Questo tema è stato affrontato a margine del COP26 del 2021, dove 35 paesi e 5 istituzioni finanziarie hanno firmato un accordo per fermare tutti gli investimenti pubblici diretti alle fonti fossili. Ad oggi, 7 dei 40 firmatari, tra cui Regno Unito, Francia e la European Investment Bank, hanno emanato politiche per attuare l’impegno in tutti i settori fossili, dal carbone al gas naturale.

Altri paesi, come l’Italia, si sono espressi soltanto in merito agli investimenti sul carbone. Infine, molti dei paesi firmatari devono ancora fare i primi passi a riguardo.

Si auspica che alla conferenza COP27 di quest’anno l’accordo sia esteso a più paesi, e che i firmatari presenti concreti passi avanti a riguardo.

Published by
Giovanni Restifo