Il 15 marzo scorso l’istituto di credito svizzero Credit Suisse ha perso circa il 24,2% a 1,69 franchi in Borsa a Zurigo. Questa perdita ha innescato l’effetto “panico” dopo la crisi che, nei giorni scorsi, ha generato il tonfo della Silicon Valley Bank. Effetto “panico” che ha portato, ovviamente, una valanga di vendite sull’intero comparto bancario europeo. Ma il mercato azionario è talmente tanto volatile che è bastato l’aiuto della banca centrale svizzera per far rivolare in Borsa l’istituto svizzero. Credit Suisse ha infatti ricevuto un prestito di 50 milioni di franchi (circa 54 miliardi di dollari) dalla banca centrale svizzera.
Partiamo dalle basi. Credit Suisse è nata nel 1856 da Alfred Escher, politico svizzero m,a per quanto sia una banca elvetica, è quasi totalmente araba. Il maggior azionista è infatti la Saudi National Bank che, a fine 2022, ha acquistato il 9,88% della Credit Suisse dopo che il capitale di quest’ultima aveva sfiorato i 4 miliardi di franchi. La Saudi National Bank a sua volta è partecipata per 37% dal fondo sovrano saudita. La crisi sembra essere stata innescata proprio dal NO di quest’ultima a dare un nuovo sostegno finanziario all’istituto di credito del quale è la maggiore azionista.
Accanto alla Saudi National Bank come partecipate abbiamo la Qatar Holding che possiede il 5,03% e l’Olayan Group che invece ne possiede il 4,93%. Lato USA abbiamo solamente la BlockRock che non supera il 4,5%.
In realtà è da qualche anno che Credit Suisse non è più un top performer del settore. Basti pensare ai vari fondi speculativi statunitensi che sono falliti nel 2021 con un costo per l’istituto di credito di circa 6,16 miliardi di euro. Costo che ha portato una chiusura di bilancio nel 2021 in negativo: ben 1,5 miliardi di franchi in rosso nonostante nel 2020 avesse chiuso con un utile di 2,7 miliardi di franchi. Per non parlare del 2022. L’agenzia di rating Standard&Poor’s ha tagliato il rating fino ad indicare una situazione di deterioramento. Secondo l’amministratore delegato del fondo americano BlackRock, Larry Fink si stanno pagando adesso decenni di “denaro facile”.
Ufficialmente sembra che la crisi sia incominciata dopo l’arresto di Bill Hwag, fondatore di Archegos Capital Management, hedge fund fallito nel 2021. Credit Suisse era tra i maggiori finanziatori del fondo perdendo circa 5 miliardi e mezzo di franchi. Subito dopo è la volta del fallimento di Greensill, società di servizi finanziari, fallita proprio mentre CS sponsorizzava i suoi prodotti. Altro miliardo di franchi perso. Quando si dice “puntare sulle cose giuste”.
Ovviamente adesso si stanno mettendo giù tutte le probabili bozze di salvataggio tra cui una eventuale fusione tra UBS e Credit Suisse ma entrambi gli istituti, secondo Bloomberg, sarebbero contrari.
Secondo l’autorità svizzera di supervisione dei mercati finanziari, Credit Suisse ha tutti i requisiti più alti di capitale e di liquidità dunque “è troppo grande per fallire”. E questo è vero ma sulla carta. Perché se guardassimo al passato, noteremmo che circa vent’anni fa il titolo valeva 80 euro. Ad oggi ne vale quasi un decimo e questo qualcosa vorrà dire. Credit Suisse ha gestito miliardi di franchi svizzeri. Ed anche questo è vero. Ma è anche vero che il bilancio 2022 segna una perdita di circa 7,3 miliardi di franchi.
Secondo gli esperti, due potrebbero essere gli eventuali scenari futuri. O ci sarà una vendita generalizzata di azioni spinta dall’eccessiva volatilità oppure le acque si calmeranno dopo giorni di oscillazioni di prezzi. Ovviamente, il governo svizzero farà di tutto per evitare il fallimento di Credit Suisse soprattutto perché, nell’immaginario collettivo, la Svizzera è sempre stata vista come il paradiso fiscale e bancario per eccellenza. Vorrà mica adesso cadere agli occhi di tutti quegli investitori che per anni hanno lasciato lì i propri capitali speranzosi un giorno di poterli utilizzare per l’acquisto di una villa alle Bahamas?