Il commercio internazionale, da sempre termometro delle dinamiche economiche globali, sta attraversando una fase cruciale con il recente crollo dell’export cinese nel mese di luglio. La Repubblica Popolare Cinese, una delle principali forze trainanti dell’economia mondiale, ha subito una frenata improvvisa delle sue esportazioni, segnalando la flessione più drastica dall’inizio della pandemia di COVID-19 nel febbraio-marzo 2020. Questo andamento, segnalato dai dati ufficiali del governo cinese, solleva interrogativi profondi riguardo alle cause sottostanti e alle conseguenze che potrebbe avere sia a livello nazionale che internazionale.
La crescita del commercio cinese ha subito un rallentamento inaspettato nel mese di luglio, a causa di una domanda più debole, creando ulteriori incertezze riguardo alla ripresa dell’economia mondiale di secondo ordine. Secondo i dati riportati dalle autorità doganali cinesi, le esportazioni dello scorso mese hanno sperimentato una contrazione annua del 14,5% in termini di dollari, raggiungendo un valore di 281,8 miliardi. Questo calo è risultato più marcato rispetto al già negativo -12,4% registrato a giugno e ha superato le aspettative pessimistiche. Contestualmente, le importazioni sono diminuite del 12,4% (pari a 201,2 miliardi di dollari), rispetto al -6,8% di giugno, andando contro previsioni nettamente più ottimistiche. La combinazione di questi fattori ha determinato una riduzione del surplus commerciale del 20,4% rispetto al record dell’anno precedente, arrivando a 80,6 miliardi di dollari.
La decelerazione delle esportazioni, tradizionalmente motore trainante dell’economia di Pechino e pilastro di sostegno durante gli anni di pandemia, è ora raggiunta dal tasso di rallentamento più accentuato dall’avvento del Covid a partire da febbraio 2020. Tale andamento trova spiegazione principalmente nell’alta inflazione e nella politica restrittiva sui tassi, fattori che hanno innescato una diminuzione della domanda globale per le merci cinesi. Le tensioni geopolitiche con l’Occidente esercitano altresì un peso significativo: le esportazioni verso gli Stati Uniti, principale destinazione dei prodotti cinesi, hanno subito un crollo del 23,1% rispetto all’anno precedente, mentre quelle dirette all’Unione Europea sono scese del 20,6%. Questa contrazione avviene in un contesto segnato dalla guerra dei chip e dal processo di derisking, cioè dalla riduzione dell’esposizione verso Pechino.
La diminuzione delle importazioni, la quinta consecutiva, è influenzata principalmente dalla fragilità dei consumi interni, e costituisce una preoccupazione più marcata a lungo termine, soprattutto considerando che la ripresa economica cinese di quest’anno avrebbe dovuto dipendere principalmente da una robusta domanda nazionale. Tuttavia, questa domanda è ora ostacolata, tra le altre cose, dalla flessione nel mercato immobiliare che ha impattato il settore delle costruzioni. Eventuali ulteriori segnali di debolezza nella domanda interna potrebbero emergere dai dati sui prezzi al consumo di oggi, con il rischio di deflazione che incombe sul paese. Tra le statistiche relative alle importazioni da singoli paesi o regioni, è rilevante evidenziare la prima contrazione mensile dal febbraio 2021 (-8,1% su base annua) delle importazioni provenienti dalla Russia, principalmente di petrolio e gas a prezzi ridotti. Queste importazioni sono scese a luglio a 9,2 miliardi di dollari, sebbene il quadro degli scambi bilaterali rimanga complessivamente robusto. Alcuni economisti attribuiscono anche il calo delle importazioni cinesi alla diminuzione dei prezzi delle materie prime, il che significa che sebbene le fabbriche cinesi continuino ad acquistare materiali, lo fanno a costi inferiori. Ad esempio, nei primi sette mesi del 2023, il valore delle importazioni di petrolio greggio è diminuito di oltre il 12% rispetto all’anno precedente, ma in termini di quantità fisica, nello stesso periodo, l’import di petrolio greggio è aumentato di circa il 12%.
I dati commerciali sfavorevoli, tuttavia, amplificano le preoccupazioni riguardo a un ulteriore rallentamento dell’attività economica cinese nel terzo trimestre. Questo arriva a seguito del deludente tasso di crescita congiunturale dello 0,8% registrato tra aprile e giugno, e mette in pericolo anche il raggiungimento dell’obiettivo prudente di crescita annuale del 5% fissato dal governo per il 2023. Di conseguenza, si intensifica la pressione sulle autorità affinché considerino nuovi stimoli economici.