La guerra non trascina nel baratro solo i civili ma a soccombere spesso è anche l’economia. L’attacco di Hamas ad Israele e la relativa bruta risposta di Tel Aviv, oltre ad aver portato scompiglio nel Medioriente, potrebbe causare la fine della ridente Silicon Wadi.
Dagli anni Settanta del Novecento lo stato di Israele ha attratto molte aziende del settore Tech. Intel, ad esempio, pose alcune delle proprie facilities produttive nel paese prima che l’evoluzione informatica prendesse piede. Gli anni Novanta rappresentarono poi la svolta nella infrastruttura tecnologica del paese; nacquero numerosi ecosistemi di startup che si fecero subito notare nello scenario mondiale.
Attualmente, Tel Aviv guida l’innovazione globale per quanto concerne la sicurezza informatica e lo sviluppo di intelligenza artificiale. L’indotto di questo sistema economico è sorprendente. Le aziende generano il 14% dei posti di lavoro nel paese ed inoltre molte multinazionali (Apple, Microsoft, Google e Meta) del settore hanno impiantato alcuni dei propri centri di ricerca.
La florida realtà della Silicon Wadi stava vacillando anche prima che si aprisse un fronte di guerra. Le startup di Israele, ad inizio 2023, avevano fatto i conti con il governo di Benjamin Netanyahu. Il primo ministro di Tel Aviv, attraverso la sua controversa riforma della giustizia, aveva condotto gli amministratori delegati delle aziende ad un duro braccio di ferro governo. Ciò che faceva storcere il naso a molti dirigenti di startup era la dura linea governativa in merito alle limitazioni della magistratura da parte del governo.
L’apice dello scontro di ebbe quando alcune compagnie decisero di dirottare fondi di investimento fuori dallo stato di Israele e nei casi più estremi a traslocare la propria sede negli Stati Uniti. Questa faida non giovò all’economia israeliana che perse molto indotto generato dalle assunzioni delle compagnie. Ora con il richiamo alle armi la situazione non può che peggiorare e generare timore negli investitori stessi.
Il tasso di nascita delle startup da inizio 2023 non si è arrestato, ma le scelte delle sedi di sviluppo sono cambiate. Infatti, l’80% delle nuove startup israeliane nel 2023 ha scelto di costituirsi negli Stati Uniti, rispetto al 20% del 2022, secondo un sondaggio dell’Autorità israeliana per l’innovazione. Le aziende innovative che restano dovranno fare i conti con stringenti economie di guerre dettate dai tumulti regionali.
“Ci stiamo preparando per affrontare questa situazione nel lungo periodo” ha dichiarato a Reuters Noam Schwartz, fondatore e amministratore delegato di origine israeliana di ActiveFence, un’azienda tecnologica specializzata in sicurezza online. Oltre alle pressioni economiche si dovranno fare i conti con il richiamo dei riservisti al fronte, e ciò potrebbe condurre a potenziali interruzioni di personale nelle sedi di sviluppo. A tranquillizzare le aziende, come Intel ed Nvidia, in merio ci pensa lo stesso dirigente che afferma: “Abbiamo abbastanza persone nel mondo per assicurarci che tutto sia sotto controllo“.
Alcuni osservatori sottolineano che questa fine della Silicon Wadi potrebbe essere solo una fase di mutamento dovuta a necessità di guerra. Infatti, esistono settori informatici ove la prospettiva bellicista potrebbe suonare la carica per nuove fonti di finanziamento di stampo statale. Si fa riferimento al settore dell’AI e della Cybersecurity. Un rafforzamento della difesa cibernetica risulterebbe necessario in una prospettiva di lunghi scontri, soprattutto a causa delle numerose falle nel sistema di intelligence di Tel Aviv.
Inoltre, uno sviluppo di intelligenza artificiale potrebbe giovare nella previsione di attacchi militari e per dedurre strategie di attacco vincenti. Il dirottamento dello sviluppo informatico verso mezzi di distruttivi non è una prospettiva rassicurante ma come, purtroppo, la storia insegna, i grandi progressi tecnologici passano per il campo di battaglia. Ove l’evoluzione civile umana finisce quella tecnologica progredisce.