Web tax in Italia: verrà richiesta a tutti, ecco come funzionerà
La web tax in Italia diventa realtà: ecco come funzionerà il nuovo tributo digitale che coinvolgerà tutte le imprese online.
Nella manovra di bilancio 2025, il governo Meloni ha scelto di estendere la web tax anche alle piccole e medie imprese (PMI) digitali italiane, segnando un deciso cambio di direzione rispetto alle politiche dichiarate in passato. Questa imposta, introdotta nel 2020 con l’obiettivo principale di colpire i grandi gruppi multinazionali del settore tecnologico, si applicherà ora a una platea di aziende molto più ampia. Le soglie di ricavo, che fino ad oggi hanno escluso le PMI, verranno eliminate a partire dal 2026, con l’intento di ampliare il gettito fiscale necessario a sostenere la copertura di altre misure previste nella legge di bilancio.
Originariamente pensata per gravare sui cosiddetti “giganti del web”, la web tax impone un’aliquota del 3% sui ricavi generati da pubblicità digitale, accesso a piattaforme online e trasmissione di dati raccolti dagli utenti. Restano invece esclusi il commercio elettronico e le interfacce digitali utilizzate per le transazioni interbancarie. Ciò che rende questa tassa particolarmente onerosa è il fatto che si applica ai ricavi e non agli utili, il che significa che, anche in presenza di margini di profitto molto ridotti, le aziende sono comunque tenute a versare l’imposta. Con la rimozione delle soglie di fatturato globali — attualmente fissate a 750 milioni di euro — molte PMI digitali italiane si troveranno a dover pagare una tassa pensata inizialmente per grandi multinazionali.
Un nuovo onere per le piccole imprese digitali
Le reazioni alla proposta non si sono fatte attendere. Le associazioni di categoria e gli operatori del settore digitale hanno espresso preoccupazione per le conseguenze economiche che la nuova tassa potrebbe avere sulle PMI. Queste imprese non dispongono delle risorse finanziarie e della flessibilità che caratterizzano i grandi gruppi tecnologici e non sono preparate ad assorbire un ulteriore carico fiscale. Il rischio è che la misura, invece di colpire le multinazionali che sfruttano scappatoie fiscali, finisca per penalizzare le aziende più piccole, che costituiscono una parte vitale del tessuto economico digitale italiano.
Le PMI digitali operano già in un contesto globalizzato altamente competitivo, e l’introduzione di una nuova tassa sui loro ricavi potrebbe ridurre ulteriormente i margini di profitto, rallentando gli investimenti e limitando la capacità di innovazione. Questo impatto rischia di essere particolarmente negativo in un momento storico in cui la trasformazione digitale è considerata cruciale per lo sviluppo economico. Inoltre, esiste il timore che alcune imprese possano scegliere di spostare le loro operazioni in Paesi con un regime fiscale più favorevole, aumentando il rischio di un’ulteriore erosione del mercato digitale italiano.
Le critiche si concentrano anche sul fatto che la misura sembra essere in contrasto con l’obiettivo dichiarato dal governo di sostenere la crescita delle aziende italiane. Giorgia Meloni stessa, prima di salire al governo, aveva duramente criticato la web tax, definendola “un’idiozia”. La decisione di estenderla alle PMI rappresenta quindi un evidente cambio di posizione.
Prospettive future e incertezze normative
L’estensione della web tax alle PMI riflette anche un contesto internazionale di incertezza. La tassa sulle transazioni digitali era stata concepita come una misura temporanea, destinata a rimanere in vigore fino a quando i Paesi membri dell’OCSE non avessero trovato un accordo per la redistribuzione dei profitti delle multinazionali. Il cosiddetto “primo pilastro” di questa riforma fiscale globale prevedeva di ripartire il diritto di tassare una parte degli utili tra tutti i Paesi in cui un gruppo opera. Nonostante questo, i negoziati sono attualmente bloccati, soprattutto a causa della mancanza di consenso nel Senato degli Stati Uniti.
In questo scenario di stallo, molti Paesi europei hanno deciso di agire autonomamente. La Francia, ad esempio, sta considerando un aumento dell’aliquota della web tax dal 3% al 5% o 6%. L’Italia, invece, ha scelto di eliminare le soglie di fatturato, una scelta che stravolge la natura originaria della misura, trasformandola in un’imposta che colpisce anche le piccole e medie imprese, e non più soltanto le multinazionali. Questo ha creato tensioni anche all’interno della stessa maggioranza di governo, con alcuni esponenti che esprimono dubbi sull’efficacia della tassa e sugli effetti che potrebbe avere sul tessuto economico nazionale.
Il futuro della web tax è quindi ancora incerto. Da un lato, la necessità di aumentare il gettito fiscale sembra spingere verso un allargamento della base imponibile; dall’altro, la mancata definizione di un accordo internazionale crea un clima di instabilità che rende difficile prevedere quali saranno le politiche fiscali nei prossimi anni. Per le PMI italiane, l’unica certezza è che la pressione fiscale è destinata ad aumentare, e con essa la sfida di dover competere in un mercato sempre più difficile e complesso.
Con la rimozione delle soglie di ricavo, la web tax potrebbe trasformarsi da un’imposta temporanea per le multinazionali in un elemento strutturale del sistema fiscale italiano. Le PMI si troveranno così a dover gestire un’imposta che potrebbe impattare anche sulla loro capacità di crescere e innovare. Il rischio è che il prezzo da pagare sia troppo alto.