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Dove finiscono i soldi di Temu? Il colosso cinese fattura 50 miliardi ma sfugge al fisco

Logo di Temu (Liquinoid - Wikimedia commons foto)

Logo di Temu (Liquinoid - Wikimedia commons foto) - www.financecue.it

Il successo di Temu: tra prezzi bassi, concorrenza sleale, evasione fiscale e il rischio di compromettere l’economia locale.

Temu è una di quelle piattaforme che, quando la scopri, ti colpisce subito per i prezzi incredibili. Lanciata nel 2022 a Boston, ha raggiunto l’Italia solo nel 2023, ma è già riuscita a conquistare un bel numero di utenti. Il sito offre praticamente di tutto, dall’elettronica ai cosmetici, passando per vestiti e accessori per la casa. In Europa, ha già superato i 90 milioni di utenti, e, se ci pensi, questo dato da solo è abbastanza impressionante. Ma dietro a questi numeri ci sono anche tante domande, a cominciare da dove finiscano davvero i soldi che Temu guadagna.

Alla base del successo di Temu c’è il suo modello di business, che si fonda sulla vendita di prodotti a prezzi molto bassi. I venditori, per lo più cinesi, mettono i loro articoli sulla piattaforma, e poi questi vengono spediti direttamente ai consumatori.

Facile, no? Ma c’è un problema: quando i prezzi sono così bassi, ci sono dei costi nascosti, che qualcuno finirà per pagare. Oltre a questo, Temu sta affrontando una crescente attenzione da parte delle autorità europee, che mettono sotto la lente d’ingrandimento le sue pratiche fiscali e la qualità dei prodotti venduti. In sostanza, la domanda sorge spontanea: chi ci guadagna davvero in tutto questo?

In Europa, Temu è finita nel mirino delle istituzioni per presunti abusi legati alla vendita di articoli non conformi agli standard di sicurezza e, in alcuni casi, anche pericolosi. L’Unione Europea ha avviato indagini su come la piattaforma gestisce i controlli sui prodotti in vendita, chiedendo che si garantiscano gli stessi livelli di sicurezza che si aspettano da altre aziende. Temu, dal canto suo, ha dichiarato di voler collaborare, ma se davvero non rispetta le normative, rischia di beccarsi una multa salata, che potrebbe arrivare fino al 6% del suo fatturato annuo globale. Ma, a questo punto, la domanda è: quanto denaro davvero finisce nelle mani di chi gestisce Temu, e dove va a finire?

Un sistema complesso e sfuggente

Temu, come altre aziende cinesi, si rifugia in paradisi fiscali per ottimizzare i propri guadagni. Dietro Temu c’è PDD Holdings, il gruppo che controlla anche Pinduoduo, la versione cinese della piattaforma. Se pensi che la sede centrale di Temu si trovi negli Stati Uniti o in Europa, ti sbagli di grosso. La realtà è che, ufficialmente, è tutto gestito da Dublino, ma la sede legale, quella che fa la differenza in termini fiscali, è alle Isole Cayman. Un bel paradiso fiscale, che permette di evitare il pagamento delle tasse sui profitti generati in Europa. Insomma, Temu riesce a vendere tantissimo, ma senza che i soldi passino davvero dalle mani dei contribuenti europei.

Colin Zheng Huang, il fondatore di Temu, è una figura chiave in tutto questo. Nonostante il suo patrimonio sia stimato in oltre 60 miliardi di dollari, la sua gestione dei guadagni è tutto tranne che trasparente. Huang ha creato un sistema che convoglia i guadagni della piattaforma attraverso una serie di società offshore alle Isole Vergini Britanniche, così da tenere i soldi al sicuro dalle tasse. Se poi guardi alla struttura societaria complessa, capisci subito che tracciabilità e chiarezza non sono esattamente il forte di Temu.

Il fondatore di Temu (Depositphotos foto)
Il fondatore di Temu (Depositphotos foto) – www.financecue.it

Un modello che danneggia l’economia locale

Ma l’aspetto che forse preoccupa di più è l’impatto che Temu ha sulle aziende europee. Mentre i giganti cinesi come Temu possono permettersi di aggirare le leggi fiscali e vendere prodotti a basso costo, le imprese locali sono costrette a rispettare regole molto più severe. E questo crea un’enorme disparità. Le aziende che seguono le normative europee sui prodotti, che investono in qualità e sicurezza, si trovano a fare i conti con una concorrenza sleale. Non solo si vedono costrette a ridurre i loro margini, ma rischiano anche di essere soffocate dal punto di vista economico.

Questa situazione non solo mette in difficoltà i produttori locali, ma rischia di influire anche sulla qualità dei prodotti in circolazione. Se Temu continua a vendere articoli senza troppa trasparenza sulle loro origini e sulla loro conformità agli standard, i consumatori potrebbero trovarsi di fronte a oggetti dannosi per la salute, o comunque di qualità scadente. Eppure, grazie ai suoi prezzi bassi, Temu riesce a emergere come un’alternativa molto allettante per gli acquirenti, che finiscono per alimentare, involontariamente, un sistema che non rispetta le regole.